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Pasolini, ovvero all’insegna della contraddizione. Quando era in vita e dopo che è morto. Giusto trentacinque anni fa, di sicuro ammazzato, ma con molte ombre a proposito del chi, del come e del perché. In ogni caso, se si litiga sulla morte, si litiga an

Pasolini, ovvero all’insegna della contraddizione. Quando era in vita e dopo che è morto. Giusto trentacinque anni fa, di sicuro ammazzato, ma con molte ombre a proposito del chi, del come e del perché. In ogni caso, se si litiga sulla morte, si litiga anche sulla sua identità politica. È da un po’ che destra e sinistra se lo contendono, anche se da qualche tempo a questa parte si fa strada una certa voglia di “sintesi”. Più o meno: Pasolini era di sinistra e di destra; Pasolini era un eretico di tutte le idee e di tutte le parrocchie; Pasolini guardava nel lontano e nel profondo, dunque era “oltre” (per un dibattito in materia si veda – e se n’è già parlato su queste pagine – Una lunga incomprensione. Pasolini fra destra e sinistra di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna, prefazione di Giacomo Marramao). Vero. PPP era lungimirante e, al tempo stesso, radicato nella tradizione italiana. Era davvero nazionalpopolare e davvero cristiano. Anche comunista? E in che modo lo era e perché?Accennando al museo che Roma dedicherà a Pasolini, nonché alle dichiarazioni di Gianni Alemanno («È un intellettuale che fa parte della cultura di sinistra, ma che parla a tutti», Sebastiano Vassalli ha sul Corriere della Sera del 7 novembre ha voluto mettere i puntini sulle “i”: «Pier Paolo Pasolini non era di sinistra, anche se in certi momenti e per certi versi avrebbe voluto esserlo: lo “spirito del tempo”, le amicizie, le persecuzioni dei benpensanti lo spingevano lì: perché non dirlo?» (“PPP e il piagnisteo di quell’eterna egemonia culturale”). Giusto, andava detto. E proprio ieri sera, nella seconda presentazione romana del libro, lo hanno ribadito Marramao, Antonio Gnoli di Repubblica e il “nostro” Luciano Lanna. Bisogna, infatti, come sosteneva Céline, dire tutto, “urlarlo”, se necessario. Perché finché ci sarà una cosa non detta o non capita, taciuta o mistificata, rimossa o ignorata, il mondo della cultura – che poi è il mondo dell’umanità e dell’umanesimo – sarà povero, amputato della sua ragione più intima, che coincide con la verità. Parola che si fa fatica a pronunciare, ma che deve essere più che mai un’insegna: culturale e politica. Torniamo a PPP. La cosa migliore è scavare dentro questa personalità così complessa, illuminare le opere e i giorni, vagliare scritti, documenti, testimonianze. Ed ecco, per farlo, una nuova, potente “occasione”: quattrocento “pezzi” tra poesie, manoscritti, disegni, oggetti e pitture esposti a Firenze all’archivio contemporaneo Bonsanti del Gabinetto Vieussex fino al prossimo 21 gennaio. Il titolo della Mostra, “Pasolini. Dal laboratorio” (il catalogo, a cura di Antonella Giordano e Franco Zabagli, stampato da Polistampa, pp.136, € 28, comprende anche la pubblicazione di un album fac-simile della sceneggiatura a fumetti disegnata da Pasolini per il film La terra vista dalla luna), si richiama direttamente a immagini che erano care allo scrittore. PPP, infatti, come ha ricordato Gloria Manghetti, direttore del Vieusseux, amava definire “laboratorio” il suo spazio lavorativo, il suo fervoroso cantiere, il luogo-appartato, privato, ma sempre figlio di una forte esperienza di vita pubblica – dove plasmava materiali creativi, spesso incandescenti. E qui ce ne sono tanti, visibili per la prima volta e provenienti da quel Fondo Pasolini, che fu donato all’Istituto fiorentino nel 1988, per volontà di Graziella Chiarcossi, l’erede della madre del poeta. Tante carte – lettere, poesie, sceneggiature, interventi critici, appunti, disegni, foto ecc. – ma ben sistemati secondo un puntuale criterio cronologico, sezione per sezione. Si parte da “Friuli, la zoventud”(1940-1950), dedicata ai manoscritti (prose narrative, testi teatrali e perfino il primo soggetto cinematografico, Il giovine della primavera, scritto da un Pasolini “dannunziano” nel 1940 per i fascistissimi Littoriali della Cultura) e alle edizioni delle poesie giovanili in dialetto friulano e in lingua italiana. È il battesimo di un intellettuale pieno di contraddizioni: il fratello, partigiano patriota e azionista della “Osoppo”, è stato ammazzato dai comunisti, ma lui, nel dopoguerra, sceglie falce e martello. Con cuore gramsciano. Fatto a brandelli, allorché il Partito Padre Padrone espelle dalle sue file il giovane professore, colto in flagranti “atti impuri” omosessuali. Ed ecco le altre sezioni: “Roma”, riguardante la fase della poesia civile, con scritti dal ’50 al ’60, tra cui la prima collaborazione cinematografica con Fellini in La dolce vita; “All’inizio di una nuova preistoria”, dedicata al periodo cinematografico e alle sceneggiature scritte a mano dal ’60 al ’70, tra cui i documenti di preparazione dei film-scandalo Accattone, Mamma Roma, La ricotta e Il Vangelo secondo Matteo; Il corpo in lotta, che racconta gli anni dal ’70 al ’75, e cioè il Pasolini autore cinematografico nonché giornalista – “corsaro“, “a Dio spiacente e agli inimici sui“, e tuttavia coccolato dal padro nale e borghese Corriere della Sera, chiamato a scrivere dall’ex caporedattore del nostro Secolo d’Italia, Gaspare Barbiellini Amidei. Campeggia in mostra, a oggetto di culto, la celebre macchina da scrivere “Olivetti Lettera 22”, altrettanto gloriosa per PPP che per Indro Montanelli. Sorprese, scoperte in questa rassegna di “modernariato” intellettuale a icona unica? C’è di tutto e di più in questo laboratorio che straripa. C’è anche un numero de Il Setaccio, rivista dei giovani universitari fascisti bolognesi: PPP fece parte della redazione, e vi collaborò con scritti e disegni. E c’è una tessera di corrispondente de Il Friuli sportivo: cosa amava di più PPP, la poesia o il giuoco del calcio? O il partito? Ed ecco due tessere di iscrizione al Pci: 1948 e 1949. Poi, l’espulsione. PPP come Pier Paolo Pasolini. O Pervertito, Pederasta, Pedofilo. Anatema! Lo scagliarono tutti, caro Vassalli: i benpensanti conservatori, certo, ma anche i benpensanti del Pci, stalinista e rivoluzionario, e al tempo stesso “virtuoso”, moralista, bigotto e timoroso di bruciarsi a quell’inferno pieno di slanci, tenerezze, affanni che era Pasolini, arcitaliano amaro.
Data recensione: 23/11/2010
Testata Giornalistica: Secolo d’Italia
Autore: Mario Bernardi Guardi