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Giorgio Rossi (San Piero a Sieve, 1892 - Firenze, 1963) è stato un protagonista della scena artistica del Novecento. Insegnante di scultura a Firenze e Volterra,

Giorgio Rossi (San Piero a Sieve, 1892 - Firenze, 1963) è stato un protagonista della scena artistica del Novecento. Insegnante di scultura a Firenze e Volterra, dopo anni di intensa attività, per il suo carattere schivo e riservato, smise di esporre pur continuando a studiare e produrre fino alla morte.
La sua opera è ora accessibile al grande pubblico, grazie all’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, con un allestimento curato da Luigi Cupellini, composto da 33 sculture inedite, prevalentemente in terracotta, appertenenti agli eredi e restaurate per l’occasione. Un aggiornamento di quanto finora esposto e scritto, il punto fermo sui passaggi creativi dell’artista, il trattamento della luce, come si sia formata la tematica umanistica del ritratto negli anni fra le i due conflitti mondiali e nel secondo dopoguerra.
Modellando con totale onestà intellettuale, Giorgio Rossi sviluppò il suo percorso con un’accurata ricercatezza formale e lo studio rigoroso delle forme umane, sensibile alla resa dei tratti fisici continuò a scrutare nell’animo delle sue modelle.
Per i tipi di Polistampa, nel bel catalogo che accompagna l’esposizione, il critico Stefano De Rosa nota “La sua eleganza ha i tratti di un raffinato umanesimo, che non si struttura con il conservatorismo, ma si innerva nell’accettazione critica di una secolare tradizione culturale”. Da Antonio Bortone - il maestro che guidò Giorgio Rossi durante la prima formazione - imparò a considerare la scultura un esercizio nobile, al quale sacrificare ogni altra esigenza umana, oltre a misurarsi con ogni materia, dal marmo al bronzo. Assorbì anche l’idea dell’artista come borghese discreto, inserito nella società, a suo modo impegnato in ambito civile, ma rinunciando alle pose dannunziane e ai compiacimenti decadentistici che le avanguardie del primo Novecento stavano lanciando con forza. Quel patrimonio giovanile fu aggiornato dalla potente sferzata della scultura di Libero Andreotti aprendo le porte della tradizione.
La storia dell’arte si palesò a Rossi come un forziere magico, dal quale attingere senza inibizioni così che l’umanità, unita a scelte linguistiche, lo condussero a una riconsiderazione critica dell’Umanesimo. La sua scultura divenne un prolungato atto di fiducia verso un tempo storico e una verità spirituale che la modernità non doveva ignorare. Con Innocenti e Boninsegni rappresentò una linea di toscanità scultorica nel segno di un quattrocentismo polemico e dialetticamente difeso e spiegato.
Rossi si opponeva tanto al revival medioevale quanto all’acquisizione acritica del Rinascimento per una modernità ragionevole e non trasgressiva che passava attraverso lo studio di Donatello e dei maestri del ‘400. Questa impostazione allontanò Rossi dai ritardatari, dai cocciuti, rissosi eversori delle avanguardie, perché lavorò con coerenza, raggiungendo buoni risultati nelle occasioni in cui si presentò al giudizio del pubblico e della critica. Nei ritratti Rossi tocca i livelli più alti della sua arte proprio per quella particolare sensibilità che gli permetteva di impossessarsi dei segreti dei suoi modelli. Rossi era sempre in viaggio, mentre modellava, assorto nella ricostruzione di una verità interiore, intento a rimandare, attraverso un volto, il senso o l’aspettativa di una vita. La nobiltà dell’uomo era in lui un valore certo, molto prima che Ugo Ojetti ne facesse il fulcro di una posizione estetica.
Nel dopoguerra non ebbe significativi scarti qualitativi, anzi, i difficilissimi tempi della ricostruzione trovarono in lui una sponda artistica ideale. Il progetto di dar vita ad un nuovo Umanesimo quale unica realtà culturale in grado di aggregare ed armonizzare posizioni ideologiche diverse, fu presto superato dai fatti storici che imponevano prese di posizione drastiche e rigidi codici di comportamento. Giorgio Rossi continuò a lavorare, aggiungendo l’alabastro ai materiali usati ed amati in uno sforzo dove, la sua coerente abnegazione, lo condusse ad una qualità espressiva rara fra gli artisti del ‘900.
Data recensione: 14/11/2010
Testata Giornalistica: Arte e Arti
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