chiudi

Sidney Sonnino fu certamente uno dei grandi statisti dell’età liberale. Era nato a Pisa nel 1847 da padre italiano, di famiglia israelitica, poi convertito all’anglicanesimo, la chiesa protestante inglese cui apparteneva la madre, gallese. Secondo i canoni di questa confessione fu cresciuto anche il futuro uomo politico. Dal Regno Unito per lui venne assai più del nome (certo non italiano!): una cultura, una fede, un ethos che ne fecero un personaggio unico. Fu un intellettuale importante e un gran gentiluomo di campagna.
Profondo conoscitore della terra, della campagna, dell’agricoltura, assunse incarichi di grande responsabilità: parlamentare eletto nel collegio di San Casciano in Val di Pesa fu deputato per quarant’anni e poi senatore del Regno, dal 1920; fu ministro in vari dicasteri e due volte presidente del Consiglio, in entrambi i casi per poco più di cento giorni: anche allora i governi in Italia avevano spesso vita breve e grama. E anche di questo, infatti, si occupò, fra l’altro con un celebre scritto comparso sulla «Nuova Antologia» dall’emblematico titolo di Torniamo allo Statuto. Sonnino era un liberale di stampo conservatore e vagheggiava un sistema di governo improntato ai canoni classici della monarchia costituzionale (non strettamente parlamentare), fondato su una più rigida separazione dei poteri; al tempo stesso sosteneva però il suffragio universale in un’Italia nella quale fino al 1912 non ebbe diritto al voto più del 9% della popolazione (fino al 1882 addirittura solo il 2,2%!) e perfino la proporzionale, convinto che si dovesse dar voce «alle classi scontente e agli interessi conculcati». Con Leopoldo Franchetti condusse una celeberrima indagine sulle condizioni della Sicilia, occupandosi della parte relativa alla vita dei contadini: l’opera complessiva è da 130 anni un riferimento ineludibile per chi vuole studiare la mafia. Qualcuno, certo con qualche enfasi, ha scritto che si è dovuto aspettare le interpretazioni di Giovanni Falcone prima di leggere qualcosa di altrettanto perspicace.
Mi pare di poter dire, però, che la sua impresa più importante fu quella di guidare la politica estera italiana per molti anni in una fase che non si può che definire decisiva: fu ministro degli esteri dalla vigilia alla fine della Prima Guerra Mondiale e oltre (1914-1919). Inizialmente favorevole alla Triplice alleanza con Germania ed Austria, con l’avallo regio naturalmente, fu fra i protagonisti del cambio di alleanze (dalla Triplice alleanza alla Triplice intesa con inglesi e francesi); e dunque del Patto di Londra, della guerra e dell’immediato dopoguerra (Conferenza di Parigi). Qui una parte delle speranze italiane si infranse per l’opposizione del presidente Usa Woodrow Wilson che s’era fatto un punto d’onore di non seguire la diplomazia segreta allora in voga e di rispettare il principio di nazionalità. Sonnino (e l’Italia tutta) ne pagarono le spese e l’anziano statista rinunciò a ricandidarsi, paradossalmente proprio quando si sarebbe dovuta applicare per la prima volta la legge elettorale proporzionale (1919).
Sonnino mostrò come un conservatore potesse essere uomo aperto, di ampie vedute e anche audace: pochi sanno che il 16 aprile 1909 prese il volo dal campo di Centocelle (Roma) al fianco di Wilbur Wright: uno fra i primi politici al mondo a cimentarsi con il mezzo che avrebbe rivoluzionato il modo di viaggiare (e di combattere).
Morì il 24 novembre 1922, a tre settimane dalla formazione del governo Mussolini (31 ottobre). Si può ben dire perciò che lo Stato liberale morì con lui.
Nel castello di Montespertoli dove risiedette, i suoi eredi ospitano il Centro studi a lui dedicato, presieduto dal professor Pierluigi Ballini della Facoltà di Scienze politiche «C. Alfieri» di Firenze: ed è proprio per la collana del Centro che Roberto Baglioni ha curato l’Inventario dell’Archivio dello statista anglo-toscano, appena pubblicato da Polistampa, che sarà presentato domani alle 17 a Palazzo Medici Riccardi.
Data recensione: 18/11/2010
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Carlo Fusaro