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Colazione a vetri spalancati mentre il sole si sporge sul brusio sommesso e ancora impastato di sonno della città e, d’improvviso, accorgersi che le rondini non se ne sono mai andate, soltanto le avevamo scordate. A spolverarne il garrire

Colazione a vetri spalancati mentre il sole si sporge sul brusio sommesso e ancora impastato di sonno della città e, d’improvviso, accorgersi che le rondini non se ne sono mai andate, soltanto le avevamo scordate. A spolverarne il garrire insieme alla vita dimenticata delle piccole cose, Anna Elisa De Gregorio ci porge il tocco delicato del suo Le rondini di Manet, uscito per le Edizioni Polistampa. Sono idilli appesi in tre Stanze le poesie di questa raccolta d’esordio che fa tralucere insospettata maturità poetica e sapienza pittorica. Prime ad aprirsi le Stanze dei ventagli in cui la poetessa ha riposto, racchiusi fra parole, gli esemplari della collezione. Vi sono il ventaglio delle «tre onde di capelli | bianchi per diadema» di una severa massaia abbandonatasi ad una tarantella in una cucina senza tempo, le due effimere mezzelune tracciate sulla rena dalle infradito di una donna africana, i tasti bianchi del pianoforte, uno scialle rosso, il ricordo delle gonne da tango argentino rivissuto in una Place Vendôme invernale, la mano palmata di un albero di fico o i grappoli bianco-profumati dei tigli. Minimi ventagli, anche dal punto di vista grafico, gli haiku incastonati alla fine di ogni Stanza segnano il pacato passaggio alla seguente. Il truciolo del lapis e l’altalenante ventaglio del pendolo traghettano, così, alle Stanze imperfette, in cui trascorrono via materia e tempo. Eppure, «l’idea | notte dietro notte | che le cose si perdono insieme con il peso delle ossa» è l’unica inattesa perfezione dei vecchi, che consente loro di versare «acqua sui bulbi | comprati con troppa leggerezza» e di svegliarsi un mattino al bianco avvento dei giacinti. La presenza delle piante, che lega come un convolvolo le tre Stanze, da silente nella prima parte si fa qui sussurrante portavoce degli esseri umani: il sedano di un’insalata estiva condivisa, le foglie calpestate nella ricorrenza dimenticata di un patto stretto fra persone ormai lontane, la ginestra che col suo giallo richiama nel presente un «sì» del passato, la magnolia unica custode delle voci costrette del manicomio. È un haiku-viola fiorito sull’asfalto il fiore che lega, per mezzo del suo valore polisemico di pianta, colore e strumento musicale, il mare viola dei morti nelle Stanze imperfette ai gatti che popolano le Stanze minime intonando sulle vibrisse la loro richiesta d’ascolto. Echeggiano di rumori, queste ultime stanze. Il ronzio degli insetti, il frullio degli storni, il miagolio dei gatti, il garrire delle rondini «a svegliare il silenzio del mondo » conducono in un’impercettibile climax a chi la voce alle piccole cose del mondo la restituisce: il poeta. Si conclude, così, con un’inaspettata riflessione metaletteraria, la prima raccolta di Anna Elisa De Gregorio che stupisce per la sua capacità di rapire il cuore. Questo, infatti, è il sorprendente esito di un canto poetico modulato sulla piccola realtà quotidiana, in tessuta come di tristezze così di sorprendenti gioie, che, proprio per l’essere minute, possono venir cantate solamente da una Piaf, pardon, hirondelle, della poesia.
Data recensione: 01/09/2009
Testata Giornalistica: Caffè Michelangiolo
Autore: Irene Graziotto