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Solo una storiografia eccessivamente costretta entro limiti ideologici prosegue nell’opera di ignorare il contributo della Chiesa cattolica alle questioni più rilevanti del «secolo breve»

Solo una storiografia eccessivamente costretta entro limiti ideologici prosegue nell’opera di ignorare il contributo della Chiesa cattolica alle questioni più rilevanti del «secolo breve», benché ci sia la dichiarata consapevolezza che «nessuno può scrivere la storia del ventesimo secolo allo stesso modo in cui scriverebbe la stria di qualunque altra epoca» (E.J. Hobsbawm. Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1997, 4) e che «è assolutamente impossibile conoscere tutta la storiografia sul nostro secolo» (Ivi).
A leggere quella storiografia, in ogni caso, sembra ictu oculi riduttivo considerare papa Benedetto XV (1914-1922) soltanto come colui che «aveva consentito a un grande Partito popolare (cattolico) di affacciarsi sulla scena politica dopo la prima guerra mondiale, finché il fascismo non lo distrusse» (E.J. Hobsbawm, Il secolo cit.,142). E sembra del resto fuorviante l’opinione di chi, ricordando la morte di Pio X avvenuta il 20 aprile 1914, ha sostenuto che «il nuovo papa Benedetto XV, eletto il 5 settembre 1914, nella sua prima enciclica Ad Beatissimi Apostolorum Principis Cathedram, del 1° novembre 1914, condannò la guerra e ne indicò la causa principale nell’allontanamento dell’umanità dai principi cristiani evitando quindi di prendere posizione a favore di questa o quella parte in conflitto», pur sostenendo che questo papa «continuò a proclamarsi neutrale ed espresse nel 1917 una nuova severa condanna della guerra » (G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. 8, Feltrinelli, Milano 1987, 45 e s.).
Papa Benedetto XV resta, oltre quella storiografia e nell’opinione comune, il Papa che cercò di evitare sino alla fine l’«inutile strage» della prima guerra mondiale. Ed infatti, proprio nell’enciclica Ad Beatissimi Apostolorum, propose diversi percorsi di pace negli anni 1914-1915 fu oltremodo articolato e più complesso di quanto non sia stato possibile verificare fino a pochi anni addietro. Adesso ci si accorge compiutamente di ciò grazie ai numerosi documenti inediti che, rinvenuti negli archivi vaticani dallo storico Gabriele Paolini, sono posti alla base del suo volume, che gode di un saggio introduttivo di Francesco Margiotta Broglio.
Paolini, delineando la figura di un papa colto, intelligente, sensibile, straordinariamente coraggioso, dimostra come la Grande Guerra abbia rappresentato «una prova assai difficoltosa che la diplomazia vaticana superò magistralmente, misurandosi con le caratteristiche e i bisogni dei tempi, traendone anche una rinnovata proiezione internazionale» (20), non del tutto ripagata a fine conflitto.
Il ricercatore, in effetti, basandosi su accurate ricerche archivistiche e su tutta la bibliografia italiana e straniera esistente, fa luce sulle tante iniziative di carattere umanitario promosse dal papa e dai suoi collaboratori: ricorda l’assistenza ai prigionieri e alle loro famiglie, la mediazione per la liberazione degli internati civili, i tentativi di limitare alcuni dei metodi di guerra più cruenti. «In realtà, fin dal giorno successivo al conclave che portò sul soglio di Pietro, il Papa cercò di conferire al Vaticano un ruolo attivo e propulsore in vista della pace» (16), sostiene l’autore, che, nella prima parte del libro, ricostruisce, secondo un criterio cronologico, la posizione della Santa Sede ed evidenzia gli aspetti significativi del modello di pace perseguito dal Vaticano, sostanzialmente un compromesso sul fronte occidentale e un’affermazione in Oriente degli Imperi Centrali, «al fine di ridimensionare la potenza della Russia zarista, con la quale aveva rapporti difficili da decenni» (106).
Investigando, dunque, su «Proclami d’imparzialità e iniziative di pace», Paolini parte nella disamina del primo anno di guerra, prendendo le mosse dal periodo che va dall’attentato di Sarajevo al conclave, che elegge papa Giacomo della Casa, riferendo i primi atti di governo del nuovo pontefice, ricordando la divisione dei cattolici (44) e gli sforzi per mantenere l’Italia neutrale (66). Nel prosieguo delle considerazioni, quindi, era più che necessario riferire della «ricerca della pace separata» tra le nazioni in conflitto (94), mai dimenticando «la minaccia russa» (105). Ed in tale contesto – a ben vedere – si inserisce anche un nuovo modo di considerare i rapporti tra cattolicesimo e giudaismo. Lo studioso ricorda, infatti, le iniziative dell’American Jewish Commitee, l’appello di alcuni componenti a Benedetto XV, che pregarono «il pontefice di intervenire «col peso della Sua suprema potenza morale e spirituale» affinché tali sofferenze potessero avere termine. Benedetto XV – aggiunge Paolini – rispose a mezzo di Gasparri con una lettera pubblica molto significativa, che può essere considerata un punto importante sulla via del nuovo rapporto tra cattolicesimo e giudaismo. Il pontefice (...) «considera(va) tutti gli uomini come fratelli e insegna(va) loro ad amarsi scambievolmente», non cessava «di conculcare l’osservanza, tra individui come tra popoli, dei principii del diritto naturale» e di riprovare tutto quello violava» (108). Emerge in questa pagina, del resto, il serrato confronto intellettuale tra due giuristi «di razza», perché se è a tutti noto il contributo del card. Pietro Gasparri alla scienza canonistica ed alle soluzioni più idonee per la Santa Sede nell’ambito delle relazioni bilaterali tra gli Stati nazionali e la Chiesa cattolica, non meno rilevante era la formazione filosofico-giuridica del pontefice, sul quale, proprio di recente è stata fatta luce (cf G.B. Varnier, La formazione giuridica di Giacomo della Casa. La tesi di laurea, in “Atti della Società ligure di storia patria», a. XLVII/2007, n. 2, 419-450).
Proseguendo nello studio, dunque, Paolini analizza gli altalenanti rapporti tra Santa Sede e governo italiano e , dopo aver dedicato un fondamentale capitolo a «l’inutile strage» (135-200), riferendo dell’offerta di pace degli imperi centrali, nonché della genesi e contenuti della nota pontifica «ai capi dei popoli belligeranti» e delle risposte dei governi, dimostra come tutta l’attività fosse orientata «ad evitare “il suicidio dell’Europa civile”» (cf A. Airò, Vaticano: n neutro, né di parte, in «Avvenire», 27 dicembre 2008, 23).
Nella seconda parte della ricerca, invece, secondo un criterio tematico, lo studioso affronta la questione delle iniziative concrete, «sul campo» si potrebbe dire. Sono ben 197 le pagine dedicate alle «varie forme dell’impegno umanitario» (203-410) e le più interessanti sono quelle relative al grande impegno profuso dal delegato apostolico a Costantinopoli, perché il sultano fermasse «la strage degli armeni», primo genocidio del Secolo Breve (cf il paragrafo ... miserrima Armeniorum gens..., 327-339).
Ogni argomento trattato conduce all’enunciato iniziale: «La scelta (della Santa Sede) fu quella della imparzialità, tanto più necessaria, quanto più forte e dilacerante era la contrapposizione tra i cattolici delle nazioni in armi, da una parte e dall’altra impegnati a sentire, vivere e proclamare la propria guerra come difesa del diritto, della giustizia e della verità e perciò eminentemente cristiana» (18). Imparzialità, dunque, non inattività. E dall’azione, dunque, viene l’ulteriore conferma di quanto davvero inutile sia stata quella «strage», tanto da suscitare non una politica di neutralità, ma una neutralità operosa, un’offensiva di pace, appunto.
Data recensione: 01/07/2009
Testata Giornalistica: Parola e Storia
Autore: Angelo Sconosciuto