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Cartoline da altrove, da luoghi lontani nello spazio e nel tempo. Immagini, tuttavia, col dono della parola, perché fluite dal racconto d’un viaggiatore autentico. Così si presenta «I viaggi e le memorie di Emilio Rosetti - Società, luoghi e tecniche del

Emilio Rosetti. La studiosa bresciana Giulia Torri ha elaborato «I viaggi e le memorie» dell’ingegnere che nell’800 percorse 480mila chilometri con ogni mezzo
Cartoline da altrove, da luoghi lontani nello spazio e nel tempo. Immagini, tuttavia, col dono della parola, perché fluite dal racconto d’un viaggiatore autentico. Così si presenta «I viaggi e le memorie di Emilio Rosetti - Società, luoghi e tecniche del XIX secolo», godibilissimo resoconto di 480mila chilometri percorsi con tutti i mezzi esistenti nella seconda metà dell’Ottocento: dal dorso di mulo al transatlantico. Il primo di quattro volumi (Edizioni Polistampa, 352 pagine, 29 euro) è curato dalla giovane studiosa bresciana Giulia Torri (dottore in Conservazione dei Beni culturali) per incarico della Fondazione Italia-Argentina Emilio Rosetti, depositaria dei manoscritti inediti dell’ingegnere italiano, il quale, tra le altre cose, fondò la facoltà di Ingegneria dell’Università di Buenos Aires e la Società Scientifica Argentina. Il testo, com’è stato concepito dalla curatrice, consente, attraverso una fruizione a tre livelli, una lettura varia e scorrevole: i diari dell’ingegner Rosetti, dallo stesso riordinati prima della morte (1908); le note, che integrano le memorie con approfondimenti volti ad inquadrare i fatti negli scenari dell’epoca; le cartoline illustrate coeve, «documentazione sottovoce» che svela l’aspetto di luoghi ancora immuni dal male contemporaneo del «troppo pieno». Il destino di Emilio Rosetti è già iscritto nell’anno di nascita, il 1839. Lo stesso dell’inaugurazione della prima ferrovia in Italia. Mezzo d’elezione tra quelli da lui utilizzati nonché soggetto della sua tesi di laurea. Figlio d’un fornaciaio di Forlimpopoli, che voleva che il figlio toccasse «con mano la differenza tra l’ignoranza e il sapere», Rosetti studia a Bologna e poi nella capitale di allora, Torino (mentre vi fa il servizio militare). Nel 1864 si laurea in Ingegneria civile con una tesi, appunto, sulla locomotiva. Maè il 1865 l’anno decisivo per Rosetti. Su mandato di Giovanni Maria Gutierrez, poeta e rettore dell’Università di Buenos Aires, gli viene offerto l’incarico di trasferirsi Oltreoceano per fondare la facoltà di Ingegneria (con uno stipendio, notevole per l’epoca, di novemila lire annue, oltre a duemilacinquecento lire per indennità di viaggio). «Emilio apparteneva infatti a quella categoria di Europei chiamati dal Governo della Provincia di Buenos Aires - si legge nelle note - per sviluppare tradizioni culturali e scientifiche in un Paese ancora da costruire». Quindi, il 29 aprile 1865, Rosetti sbarca a Buenos Aires (allora città di 200.000 abitanti, di cui circa 34.000 italiani). Trentacinque giorni di traversata in transatlantico, toccando vari scali, danno al Rosetti l’occasione per mettere a frutto la sua inclinazione ad osservare, con curiosità vorace, tutto ciò che vede e a fissarlo nel diario. Una vera vocazione al viaggio e al racconto odeporico. Quello che, oggi, con strumenti sempre più sofisticati, affidiamo alle immagini. Ma Emilio Rosetti è, soprattutto, un viaggiatore scientifico, che s’interessa di tutti gli aspetti: architettonici, naturalistici, economici, sociali. Anche se dedica più attenzione alle strade, alle stazioni, alle navi, a tutte le testimonianze di radicale cambiamento. Perché il mondo si sta muovendo, in quegli anni. Non solo in senso metaforico. Massicci spostamenti di genti e di merci richiedono nuovi mezzi di trasporto, che altereranno l’aspetto dei luoghi. È il progresso. Nel 1870 Rosetti si spinge nell’incontaminata Patagonia (oggetto, in quegli anni, delle non incruente azioni espansionistiche argentine e cilene). Ha l’incarico di valutare la praticabilità d’una ferrovia interoceanica al Passo del Planchon. È uno dei suoi viaggi fatti «per passione e per professione». E ne risulta una cronaca più avventurosa e briosa d’un libro di Chatwin. Quel che avvince, nelle memorie di Rosetti, è proprio lo stile - lieve, arguto ed immediato - che sbozza la personalità dell’autore. Il quale, dinamico ed instancabile (visita tutto, compresi carceri e cimiteri), trascina il lettore senza affaticarlo. E lo guida nei suoi «giri del mondo» (nel 1871, torna a visitare l’Italia post risorgimentale e poi l’Egitto, Costantinopoli, la Grecia e il Nord Europa) con lo sguardo dell’uomo di scienza: uno scetticismo venato d’ironia che s’accende di fronte a espressioni di superstizione popolare («In pieno secolo decimonono!» esclama ogni tanto) e che, da positivista, non risparmianemmeno le pratiche religiose. Per il resto, non s’arrocca su rocciosi preconcetti: il melting pot è per lui una «Bella Babele». Ma Rosetti rifugge l’adesione acritica.E il giudizio negativo, quando c’è, deriva da un agile pragmatismo («Tutto qui è camorra» annota durante la visita a Napoli). Rosetti non si fa mai intimidire dal prestigio di ciò che ha di fronte. Sente di poterlo dominare grazie al filtro d’una cultura che nei diari resta in filigrana, senza degenerare in pedanteria. Una capacità di «prendere le misure» alle diverse realtà. Per valutarle, per fare confronti. E, magari, per incantarsene. La ricerca d’una prospettiva privilegiata è una costante di Rosetti. Sale sempre e ovunque verso il punto più alto, gradinata, collina o torre. «Non son niente i 140 metri di altezza» è il suo commento all’ascesa della Piramide di Cheope: «È l’edificio, luogo e storia, che v’innalza!». È reticente, invece, sul privato. Come sull’incontro con Teresa Moneta (sorella del futuro Nobel per la Pace Ernesto Teodoro), che sposerà nel 1873. Per una sorta di pudore. O, forse, perché è altro quel che gli interessa descrivere: lo spettacolo d’un mondo catturato dai nuovi mezzi del progresso, ma ancora vario e difforme.
Data recensione: 03/09/2010
Testata Giornalistica: Il Giornale di Brescia
Autore: Paola Baratto