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È sufficiente sfogliare una qualsiasi delle sue numerosissime pubblicazioni per rendersi conto di quanto grande e radicata sia la passione per la storia dell’arte che da sempre anima e indirizza Sandro Bellesi, che in essa ha saputo trovare le motivazioni

È sufficiente sfogliare una qualsiasi delle sue numerosissime pubblicazioni per rendersi conto di quanto grande e radicata sia la passione per la storia dell’arte che da sempre anima e indirizza Sandro Bellesi, che in essa ha saputo trovare le motivazioni e lo slancio necessari per crescere professionalmente sino a diventare quello che è oggi: uno fra i più seri e accreditati specialisti della pittura e della scultura fiorentine del Seicento e del Settecento. Ma se prendessimo in esame le quattro monografie che Bellesi vanta al suo attivo - dedicate rispettivamente ai pittori Cesare Dandini (1996) e Vincenzo Dandini (2003), e agli scultori Giuseppe Piamontini (2008) e Giovacchino Fortini (con M. Visonà, 2008) - allora scopriremmo un’altra parte di verità: che l’amore verso l’arte, per quanto intenso e supportato dall’intelligenza e dalla forza di volontà, da solo non basta a giustificare gli alti meriti scientifici che accomunano questi studi; poiché, a nostro avviso, ciò che distingue e rende apprezzabile Sandro Bellesi anche sotto il profilo umano è quella sua immutata propensione ad accostarsi ai fenomeni artistici o ad altri aspetti del sapere con l’umiltà, il rigore e l’onestà intellettuale di chi, per natura, antepone la conoscenza a ogni altra sorta di premio o gratificazione. Accade di frequente che uno studioso, dopo essersi lungamente applicato su un determinato tema di ricerca, senta arrivato il momento di tirare le fila del discorso al fine di stabilire alcuni punti fermi che segnino per lui la conquista di un ambito traguardo e, per gli altri, una base sicura da cui eventualmente riprendere in vista di ulteriori approfondimenti. Col preciso intento di concentrare in un unico contenitore l’enorme bagaglio di notizie e di scoperte capitalizzato in oltre vent’anni di indagini sulle diverse tendenze della pittura del Sei e del Settecento a Firenze, Sandro Bellesi ha scelto di cimentarsi in un progetto scientifico di mole e impegno assolutamente eccezionali: ovvero una nuova catalogazione di tutti i pittori, anche non fiorentini e stranieri, che operarono in modo costante nel capoluogo toscano nel corso dei due secoli. L’opera in tre volumi che è scaturita, frutto di oltre dieci anni di lavoro fra aggiornamenti bibliografici, controlli sul mercato antiquario, selezione del materiale illustrativo e riscontri sul territorio, è stata presentata il 29 settembre scorso a Firenze da Mina Gregori (che ne ha firmato l’introduzione) e da Cristina Acidini Luchinat. Le personalità artistiche esaminate da Bellesi - ciascuna provvista di biografia, lista completa delle opere certe o attribuite, bibliografia aggiornata e corredo fotografico esauriente - ascendono a un totale di circa 340: un numero senza dubbio elevato che, trovando un corrispettivo solo nella coeva pittura romana, testimonia l’importanza e la diffusione a livello nazionale della scuola fiorentina fra Sei e Settecento. Ma tale numero si rivelerà ancor più inaspettato se consideriamo che ne risultano esclusi sia i pittori, fiorentini o toscani di nascita, che svolsero l’intera carriera fuori dai confini regionali, senza mai fare ritorno in patria (Filippo Paladini, Giovanni Balducci, Giovanni Maria Morandi, Francesco Zuccarelli); sia quegli artisti che, pur avendo operato con successo a Firenze, rimasero comunque ancorati ad altre realtà artistiche e culturali (Artemisia Gentileschi, Battistello Caracciolo, Pietro da Cortona, Luca Giordano etc.); sia infine i numerosi artefici, nominati dalle fonti o nei documenti antichi, ai quali è al momento impossibile ricollegare alcuna opera di sicura identificazione. Le voci Alessandro Allori e Giuseppe Zocchi, con cui inizia e si conclude l’elenco alfabetico dei pittori stilato da Bellesi, casualmente ricalcano anche gli estremi cronologici entro cui si sviluppa e si evolve la scuola fiorentina nell’arco di quei duecento anni: dagli ultimi aneliti del tardo manierismo sotto l’incalzare della Controriforma fino ad arrivare ai primi germi di una rinascita neoclassica in reazione al rococò. Quanto avviene all’interno di questa ampia parentesi temporale è un continuo susseguirsi di correnti e inflessioni stilistiche diverse, di apporti originali e di influssi esterni che si incrociano e si fondono dando vita a una pluralità di linguaggi degni di essere esportati con successo in altri centri artistici della penisola e oltre frontiera. Pensiamo innanzitutto ai soggiorni a Roma all’inizio del Seicento di Cigoli, Passignano, Andrea Commodi e Agostino Ciampelli; ma pensiamo pure al trasferimento di Stefano della Bella a Parigi, di Baccio del Bianco a Praga, di Mario Balassi a Vienna e in Dalmazia; né possiamo dimenticare, per citarne solo alcuni, i viaggi carichi di conseguenze di Cosimo Lotti e Francesco Lupicini in Spagna, il breve soggiorno di Alessandro Gherardini alla corte di Danimarca e i consensi ottenuti da Giuseppe Grisoni e da Giovan Battista Cipriani in Inghilterra; e ricordiamo infine, nel corso del XVIII secolo, la notorietà conseguita a Roma da Benedetto Luti, già allievo e collaboratore di Anton Domenico Gabbiani, da Sebastiano Galeotti in varie città del nord Italia e da Giuliano Traballesi, che divenne il protagonista indiscusso della pittura a Milano fra Sette e Ottocento. Degli artisti nominati, delle numerose altre personalità che costituirono i capisaldi della pittura fiorentina del tempo (Matteo Rosselli, Lorenzo Lippi, Jacopo Vignali, Francesco Furini, Giovanni Martinelli, Cecco Bravo, i Dandini, Volterrano, Carlo Dolci, Giusto Suttermans, Simone Pignoni, Antonio Franchi, Matteo Bonechi, Vincenzo Meucci, Giovan Camillo Sagrestani, Gian Domenico Ferretti) e di altrettanti pittori meno indagati o noti solo a una ristretta cerchia di studiosi, di ognuno di essi Sandro Bellesi ha cercato di documentare al meglio l’attività pittorica non solo a parole ma anche e soprattutto attraverso le immagini, di fatto riservando interamente alle 1698 fotografie di corredo - invero tutte di ottima qualità - il secondo e il terzo volume del suo Catalogo. Uno dei punti di forza dell’opera qui presentata consiste nel rilevante numero di inediti e nuove attribuzioni che vanno a incrementare la produzione conosciuta di gran parte degli artisti elencati. Ciò vale in primo luogo per quei pittori che da sempre rientrano nello specifico campo d’interesse di Bellesi: ovvero Cesare Dandini e il fratello nonché allievo Vincenzo, al quale vengono riferiti in questa circostanza sia una “Discesa dello Spirito Santo” ritenuta perduta, proveniente dal complesso fiorentino di San Giorgio alla Costa ma rintracciata dallo studioso nel convento dello Spirito Santo, sia le tele con “San Paolo” (già Firenze, Piacenti Art Gallery) e “Suonatore di flauto” (Milano, collezione Orsi); e ciò vale a maggior ragione anche per il loro nipote ed erede Pier Dandini, di cui Bellesi ha da tempo ricostruito la fortunata carriera pittorica e identificato i molti allievi e collaboratori che uscirono dalla sua scuola, risultando attivi in Toscana nel primo decennio del Settecento: il figlio Ottaviano Dandini, Niccolò Lapi, Antonio Puglieschi, Giovanni Maria Ciocchi e Giovanni Cinqui, ai quali si affiancano i meno noti Giovanni Andrea Brunori, Andrea Bighi, Lorenzo Rossi e Pietro Simone Vannetti. Per quanto concerne le tante restituzioni operate da Bellesi ad altri pittori, ci limiteremo a segnalarne solo alcune per motivi di spazio: ovvero il “Riposo nella fuga in Egitto” (Firenze, collezione Giovanni Pratesi) a evidenza eseguito da Filippo Tarchiani, la “Sant’Eugenia” (Firenze, collezione privata) di Giovan Battista Vanni e una “Allegoria del Tempo” (già Firenze, Galleria Bacarelli) stilisticamente riconducibile ai pennelli di Orazio Fidani. Ma ben più numerose al confronto risultano le aggiunte al catalogo di Simone Pignoni: s’intendono l’inedita “Artemisia che tenta di impedire a Mausolo di partire per la guerra” (Firenze, collezione Gianfranco Luzzetti), la tela con “Artemisia” in collezione privata, la pala con “La Vergine che offre il Bambino a S. Antonio da Padova alla presenza di S. Sebastiano” (Firenze, Piacenti Art Gallery) e la coppia di ovali che ritraggono rispettivamente “Giaele e Sisara” e “Tarquinio e Lucrezia” (Firenze, collezione Giovanni Pratesi). Invece le tele raffiguranti “Santa Maria Maddalena penitente” (Collezione privata) e “Tomiri che immerge la testa di Ciro in un vaso di sangue” (già New York, Sotheby’s), entrambe riferite erroneamente a Pignoni, vengono in questa sede restituite all’allievo Francesco Botti, al quale Bellesi assegna pure un “Episodio della vita di San Benedetto” (Firenze, palazzo Martelli) e “Melchisedech che offre il pane e il vino ad Abramo” (Firenze, S. Francesco dei Vanchetoni). Ad aumentare il già nutrito catalogo di Carlo Dolci contribuiscono una “Vergine annunziata” (Firenze, Piacenti Art Gallery) e un inedito “Gesù Bambino con una ghirlanda di fiori” (Firenze, collezione privata); mentre ad Antonio Franchi, ritrattista dei Medici e delle più nobili casate di Firenze, spetta di diritto l’immagine di “San Giovanni Battista”, attualmente conservata nei depositi delle gallerie fiorentine. Numerosi sono inoltre i dipinti nuovamente attribuiti da Bellesi a due grandi specialisti nella pittura di fiori attivi a Firenze fra Sei e Settecento: ad Andrea Scacciati, che spesso collaborò con alcuni pittori di figura (Pier Dandini, Onorio Marinari, Cinqui, Pignoni), lo studioso assegna ex novo la serie di tele con “Vasi di fiori” presenti nella villa di Montalto a Fiesole, il “Vaso di cristallo con fiori” (Casalmaggiore, Cremona, Galleria D’Orlane) e il “Vaso di fiori con pappagallo” (Firenze, Galleria Pasti Bencini), nonché un’interessante “Allegoria del granducato mediceo” eseguita in collaborazione con Pier Dandini (Firenze, collezione Giovanni Pratesi); all’altro ‘fiorante’ Bartolomeo Bimbi vengono invece ascritte due tele a pendant con “Fiori in vaso dorato” (Casalmaggiore, Cremona, Galleria D’Orlane) e una coppia di “Vasi dorati con fiori” (Chambéry, Musées d’Art et d’Histoire), provenienti questi ultimi dalla collezione Guicciardini e già attribuiti ad Andrea Scacciati. Riguardo a Francesco Soderini, artefice con Gaspero Lopez della fortunata serie di ottagoni allegorici destinati all’Elettrice Palatina (1729), Sandro Bellesi ha riscoperto nel convento fiorentino di San Filippo Neri la tela d’organo, raffigurante “Santa Cecilia”, che era in origine documentata nella chiesa di San Firenze. E per concludere segnaliamo la restituzione a Giuseppe Zocchi delle due “Storie di Adone” affrescate in una sala di palazzo Gerini a Firenze, grazie all’individuazione, da parte di Bellesi, di uno studio preparatorio per la scena con “Nascita di Adone” presso il Musée des Beaux-Arts di Lille (Inv. n. 2340). Questo nuovo Catalogo dei pittori fiorentini del ‘600 e ‘700 non dovrà tuttavia considerarsi solo un agile strumento di conoscenza e di comparazione a esclusivo beneficio di studiosi, antiquari e collezionisti: scorrendo il vasto repertorio fotografico balzano difatti agli occhi i molti aspetti curiosi, insoliti o addirittura stravaganti che di fatto costituiscono l’altra faccia della pittura fiorentina dell’epoca: ci riferiamo, tanto per fare alcuni esempi, alla forte carica autoironica e irriverente, in piena sintonia con l’indole fantasiosa di Pier Dandini, che erompe dal singolare “Autoritratto” di Pietro Santi Bambocci conservato agli Uffizi; oppure agli “Inganni”, a quei raffinati trompe-l’oeil a tecnica mista su carta, risalenti alla seconda metà del Settecento, che trovarono nei fratelli Caterina e Pietro Leopoldo Della Santa due appassionati interpreti (cfr. Firenze, collezione Massimo Tettamanti); e pensiamo infine alle donne pittrici, in maggioranza specializzate nella miniatura, nel pastello e nel guazzo su pergamena, di cui l’opera di Bellesi fornisce un accurato censimento: da Arcangiola Paladini e da Anna Maria Vaiana, attive con successo nella prima metà del Seicento, si passa alle ben più numerose protagoniste del secolo successivo facenti capo a Violante Beatrice Siries Cerroti e alla sua allieva Anna Bacherini, moglie e madre dei pittori Gaetano e Giuseppe Piattoli. In definitiva, non possiamo fare a meno di giudicare il presente Catalogo una scommessa vinta: dall’autore in primis, che vi ha trasfuso ogni sua energia e competenza, ma anche da Mauro Pagliai delle Edizioni Polistampa che ha avuto il merito di credere fermamente in questo progetto, di fatto realizzando un prodotto raffinato nella veste compositiva ed estremamente fedele nella riproduzione fotografica delle opere.  
Data recensione: 01/03/2010
Testata Giornalistica: L’Informatore Europeo d’Arte e di Antiquariato
Autore: Maria Cecilia Fabbri