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Arte, leggenda e spiritualità si incrociano e si fondono nella storia della Cappella della Sacra Cintola, cara ai pratesi, realizzata all’interno del Duomo della città toscana per celebrare e ricordare un episodio che si inserisce nella storia della relig

Arte, leggenda e spiritualità si incrociano e si fondono nella storia della Cappella della Sacra Cintola, cara ai pratesi, realizzata all’interno del Duomo della città toscana per celebrare e ricordare un episodio che si inserisce nella storia della religione e nella tradizione. Le vicende legate a questo suggestivo luogo sono molte e partono dalla sua costruzione, tra il 1200 e il 1300, fino al suo restauro, a più tappe, molti secoli dopo, fino a giungere al biennio 1998- 2000, in cui è stato compiuto un nuovo, determinante restauro. Quest’ultima tappa, voluta e condotto da Isabella Lapi Ballerini della Sovrintendenza Beni Ambientali e Architettonici di Firenze, Alessandra Popple in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure (a partire dal 1999) e realizzata grazie al contributo dell’Associazione per il restauro del Patrimonio Artistico Italiano-Arpai, della Cariprato, dell’Ente Cassa di Risparmio di Prato e del Monte dei Paschi di Siena, ha avuto lo scopo di restituire l’originario splendore al ciclo di affreschi di Agnolo Gaddi, realizzato all’interno della cappella, su una superficie di oltre trecento metri quadrati tra il 1392 e il 1395, dedicato alle Storie della Vita della Vergine e alle Storie della Sacra Cintola.Agnolo Gaddi (noto dal 1369 e morto nel 1396), figlio dell’artista fiorentino Taddeo Gaddi (uno dei più significativi successori di Giotto), mantiene vivo l’insegnamento del padre attraverso un uso dei toni e dei colori, che vivono all’interno dell’affresco pur evolvendo tecnicamente il rapporto con lo spazio e dando il via ad una ricerca più complessa sulla tridimensionalità e la profondità. In tutto il ciclo di affreschi emerge infatti la volontà di Agnolo di uscire dai canoni spaziali della pittura medievale per spingersi verso una dimensione più realistica, ma soprattutto, emerge la volontà di raccontare una storia, attraverso un linguaggio poetico e fiabesco. Vittima della noncuranza e del degrado, causato anche dalla mano dell’uomo, la pittura muraria presentava i segni del tempo e della trascuratezza, nonostante il suo valore fosse da sempre, per la città, quello di un punto di riferimento culturale e storico, poiché inserita in un contesto architettonico di grande valore. La Cappella della Cintola venne infatti ultimata alla fine del 1300 partendo da un progetto di Lorenzo di Filippo realizzato secondo i canoni del gotico tardo, allo scopo ben preciso di dare alla reliquia una dimora che la proteggesse, ma che ne permettesse comunque la visione. Realizzata la cappella, era esigenza commissionarne la decorazione ad uno dei più illustri artisti dell’epoca, che fosse in grado di celebrare la reliquia della cinta della Vergine nel migliore dei modi. Il compito spettò al Gaddi, che decise di narrare le vicende della Vergine e della Cintola seguendo un ordine dall’alto verso il basso e da sinistra a destra, come a trasformare lo spazio in una grande, unica pagina illustrata. Oltre alla narrazione, nel complesso pittorico sono presenti raffigurazioni dei Dottori della Chiesa, dei Santi e degli Evangelisti; nonché due suggestive rappresentazioni della Madonna del Latte e del Cristo Benedicente. Ispirate alla “Leggenda Aurea” (1267- 1277) del domenicano Jacopo Da Varazze, le Storie della Vita della Vergine mettono in risalto tutta la capacità espressiva del pittore, che per molti versi ha aperto le porte ad una raffigurazione sempre più umana dei personaggi capace di “parlare” ai devoti e di fungere da testimonianza culturale di un’epoca. La storia della Cintola è infatti una storia ricca di eventi, leggendari e non, che ha creato intorno a se un alone di fascino e misticismo. La reliquia venne portata all’altare maggiore della Pieve di Santo Stefano nel 1200 e, sottratta dalle mani di Giovanni di Ser Landetto da Pistoia, poi messo al rogo per averne tentato il furto, nel 1312, venne riposta al sicuro fino a trovare dimora nella Cappella, appositamente costruita, alla fine del secolo nell’ultimo decennio del 1300. Il ciclo di affreschi realizzato da Agnolo e da alcuni dei suoi allievi, ha quindi un ruolo sia celebrativo ed estetico che narrativo; in corrispondenza del duplice valore dell’immagine nella cristianità: da un lato veicolo per la narrazione di una Storia sacra; dall’altro, vero e proprio oggetto di culto, come nel caso della reliquia. In questo senso, Agnolo Gaddi trae ispirazione dai Vangeli (ufficiali e apocrifi) e dal famoso “Cincturale” (1340) di Duccio D’Amadore, unito alla già citata “Leggenda Aurea”. Le storie sono narrate unendo diverse unità iconografiche attraverso un approccio narrativo spesso simultaneo, che pur includendo due o più scene, resta comunque nitido e comunicativo, fatto per rendere comprensibili le vicende legate alle storie di Gioacchino, alla Vergine, e, ovviamente alla complessa vicenda della cinta, di cui fu protagonista prima San Tommaso, e successivamente, Michele Dagomari. Snodo narrativo fondamentale in questo percorso è l’episodio della consegna della Cinta, non sempre raffigurato ma determinante in questo contesto, esso è soggetto a differenti versioni. Il Gaddi narra qui la vicenda attraverso la storia di Michele Dagomari, sacerdote depositario della reliquia, che ebbe, storicamente il ruolo di portare la cinta da Gerusalemme in Italia. Agnolo ne narra il viaggio e le tappe che portarono alla venerazione della miracolosa reliquia. Come già abbiamo ricordato, molte le manomissioni e gli interventi che si sono susseguiti dall’introduzione solenne della reliquia nella cappella, avvenuta il 4 aprile del 1395, ad oggi. Nel 1400 venne infatti costruito un coro ligneo e successivamente, nel 1454, un organo vi venne introdotto, che implicò la perdita di una parte di affresco. Nel 1654 vennero recuperate alcune scene della Morte della Vergine; mentre nel 1831 un recupero più complesso fu apportato dalla mano di Antonio Marini. È invece del 1939 il restauro operato da Leonetto Tintori, focalizzato sul recupero dell’originalità dell’opera e della sua originaria natura. A questo segue un successivo intervento negli anni ‘70; ma bisognerà attendere, appunto, il 1998 perché si pongano le basi per un recupero non solo della cappella ma anche della globalità del Duomo in tutta la sua struttura. Due gli obiettivi del restauro: il recupero estetico di colore e trasparenza nonchè il ripristino dei materiali originari, fondamentale per il futuro mantenimento dell’opera. L’approccio scientifico ha permesso cosi dì studiare le fasi di realizzazione dell’affresco, i pigmenti usati e le sovrapposizioni di materiali dati dai ripetuti interventi nel corso dei secoli. Lo stato di conservazione, particolarmente critico, ha rappresentato un ostacolo non da poco, superato comunque dalla perizia tecnica degli “addetti ai lavori” che hanno campionato e studiato l’affresco alla luce di una minuziosa documentazione teorica e bibliografica. Le analisi chimiche e stratigrafiche hanno messo in rilievo l’entità dei danni mentre le fotografie, fatte sia con apparecchi fotografici che con appositi strumenti a fluorescenza ultravioletta e raggi infrarossi, hanno permesso di identificare pigmentazioni, ritocchi e interventi specifici dimostrando come il restauro sia a tutti gli effetti “un’arte nell’arte” a volte sottovalutata o non abbastanza valorizzata. La pulitura ha successivamente permesso a questo magnifica opera pittorica di respirare nuovamente e di regalare ancora una volta suggestione e emozione. Un lavoro di squadra che ha visto partecipare importanti istituti scientifici con un solo, grande obiettivo comune di far rivivere la storia e l’arte, per un luogo che di fatto è stato ed è più che mai identitario dell’intera comunità pratese. Un luogo che vive di luce, il Duomo, e la cui luce originaria è recuperata dal sapiente intervento di molte mani spinto da uno spirito di estremo rispetto per l’arte e per la cultura, assecondato dal desiderio scientifico di approfondimento e studio della materia partendo dalla sua cura più impegnata.
Data recensione: 24/03/2010
Testata Giornalistica: Arte e Arti
Autore: Giorgia B. Soncin