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Un paziente e dettagliato lavoro di ricostruzione e di collegamento tra le foto e le citazioni letterarie che corredano le immagini praghesi disegna un itinerario della memoria di una città che non c’è più. O meglio, che il

Un paziente e dettagliato lavoro di ricostruzione e di collegamento tra le foto e le citazioni letterarie che corredano le immagini praghesi disegna un itinerario della memoria di una città che non c’è più. O meglio, che il turista attuale riuscirà difficilmente a vedere nella convulsione urbana attuale. Caso mai il lettore e il visitatore di Praga, dopo aver anche letto qualche pagina dell’ormai classico Praga magica di Angelo Maria Ripellino, movimentata, per quanto ricordo, da un pathos che ricorre spesso alle atmosfere della Kabbalah, potranno leggere e guardare il libro di Jappelli per entrare in una Praga estraniata dal tempo e da inquadrature asciutte e statiche, giocate sulle sapienti ombre del bianco e del nero. Per quanto citato (e ci sono anche, naturalmente, il cimitero ebraico e la via degli Alchimisti) il Golem di Merynk non sembra ambientato qui. La Praga scelta dall’obbiettivo dell’autore è una città razionale, senza enfasi, imprigionata nella sua memoria (e nostalgia sette-ottocentesca). Anche se non mancano edifici e strade delle epoche precedenti, l’impressione non cambia. Persino il poco liberty mostrato ha un carattere severo. Kafka abita qui, in certe immagini oltre che nelle citazioni.
Se debbo interpretare la cifra riassuntiva del libro, sarà bene che il visitatore si alzi all’alba e percorra la città per ritrovare quelle atmosfere e quelle inquadrature, altrimenti negate dalle convulsioni consumistiche attuali. Tanto più che nelle fotografie di Jappelli le persone quasi non esistono e, se appaiono, sembrano quasi sforzate a entrare nell’inquadratura, come in un inserto successivo. Nella presentazione del libro (a cura di Sergio Corduas) si dice in sostanza che la Praga drammatica di tanti reportage e immagini letterarie non esiste più, ma la Praga di Jappelli è drammatica, per i toni e per le inquadrature. La nevrosi kafkiana si deposita sulle ombre che tagliano gli edifici e le vie deserte e il barocco dei gesuiti (però io non amo affatto il barocco, tanto più quello nordico, che è ancora più soffocante) contraddicono l’idea che la nevrosi accompagni di necessità la presenza delle persone. Quelle presenti sono in verità dei fantasmi, hanno la stessa funzione degli omini di certi quadri di Magritte.
Guardando le immagini mi sono venute in mente quelle storie, non sempre di fantascienza, come nel caso di Dissipatio h.g. di Guido Morselli, in cui si suppone la scomparsa improvvisa degli esseri umani: come apparirebbe una città il giorno dopo? Debbo ammettere che l’effetto di straniamento delle immagini è potente e se si conosce anche solo un poco la storia di Praga, i macelli religiosi compiuti, i pogrom degli ebrei, le lotte per affrancarsi dall’invadenza viennese, fino alle recenti tragedie del Novecento, ebbene Jappelli ce ne restituisce il senso profondo, imprigionato nella pietra e negli scorci. Il senso di una città alla secolare ricerca di una identità boema, sospesa tra nord e sud, est e ovest dell’Europa, un crocevia non brulicante di gioiosa creatività, ma di ansia di comprendere il proprio posto nel mondo. Con l’ansia di essere si possono però costruire anche cose splendide.
PierLuigi Albini
Data recensione: 02/12/2008
Testata Giornalistica: Steppa.net
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