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Inserita dalla fondazione che porta il nome del «sindaco santo di Firenze», negli «Studi e testi» della fortunata collana de «I libri della Badia», la lucida ricerca della studiosa pone un ulteriore tassello nell’ampio mosaico, che la stessa va costruendo da oltre un lustro, se consideriamo la sua partecipazione al convegno su Giorgio La Pira e il futuro europeo (Firenze, 2005) e il contributo al volume L’attesa della povera gente. Giorgio La Pira e la cultura economica. La ricerca è il frutto diretto delle decisioni assunte dalla Fondazione nel 2004, centenario della nascita dell’illustre esponente del mondo cattolico, quando si programmò uno «scavo» sistematico non solo nella sua spiritualità, ma anche nel suo pensiero economico; essa, peraltro, vede la luce in concomitanza di un altro anniversario, che va collegato indubbiamente alle vicende lapiriane: il 50° della morte di don Luigi Sturzo che, fautore convinto di un impegno politico aperto, fu proprio al centro di un dibattito molto animato con Giorgio La Pira (cf tra gli altri, Antonio Airò, Luigi Sturzo e la laicità dei liberi e forti, in «Avvenire», 6 agosto 2009, 23).
«Scopo espresso è stato indagare la concezione dell’economia propria di La Pira - dice Roggi. Non la si vuole afferrare dal suo pensiero sistematico-scientifico, la si vuol raccogliere, invece, dentro il fuoco dell’azione politica, della controversia operativa e giornalistica» (12). La polemica tra Sturzo e La Pira circa il possibile intervento della pubblica autorità per risolvere situazioni di crisi economica, del resto, se attirò non poca attenzione all’epoca, risulta quanto mai interessante adesso, nell’attuale atmosfera socio-politica, nella quale si è invitati a riflettere sul ruolo della politica del Governo nell’economia, magari sollecitati dai fatti di questi mesi, nei quali - come afferma Piero Rocca nella Introduzione al volume - «se una cosa è certa, in tanto ondeggiare, è l’impressione di grande sbandamento che si ricava dall’osservare l’erratico e zigzagante comportamento delle autorità economiche del mondo intero» (10). E ci si interroga analizzando lo storia, perché da essa si traggano elementi per non riviverla.
Utile a queste riflessioni - almeno per la realtà italiana - è l’analisi dello «scontro fra La Pira e Sturzo, fra il grande liberale cattolico in economia e l’interventista di ispirazione keynesiana, che voleva estirpare la disoccupazione con grande rapidità... La Pira appare, nel j’accuse di Sturzo, come l’economista che tutto vuole affidare allo stato e niente all’impresa: La Pira statalista, insomma» (12). Siamo negli anni Cinquanta del secolo scorso, dunque, ed i termini di partenza sono nell’azione di La Pira in difesa dell’occupazione in alcune industrie fiorentine e in un articolo di don Luigi Sturzo dal titolo: La Pira è uno statalista! Entro questi argini scorre l’analisi di un tema di non poco momento: il ruolo dello Stato in economia. È la stessa Pagliai ad avvertire, nell’articolato saggio Il flagello del Leviatano, che «per venire a capo della querelle è... necessario sollevarsi ad un vertice ottico situato al di là delle formule contrapposte; da questo punto di vista elevato non può sfuggire che l’importanza del dibattito si colloca a metà fra lo Stato e il mercato, ovvero nella dimensione propriamente politica; inoltre, a tale altitudine si può cogliere anche come le differenziazioni si mantengano circoscritte alle rispettive scelte di “campo”, senza mai travalicare la visione e la scelta di vita religiosa di ciascuno dei “contendenti”» (26).
Di certo si nota che «è a Roma e all’attività di La Pira nell’assemblea costituente che è possibile far risalire il primo contatto diretto fra Sturzo e La Pira, quando lo statista dal Convento delle Canossiane sull’Appia, dove risiede, plaude alla proposta del più giovane deputato d’inserire nel nuovo ordinamento giuridico costituzionale il richiamo alla radice comune della christianitas (34); nel 1954, però - avverte Pagliai - le alchimie (fortuite o volontarie che fossero) dell’incontro in Costituente tra La Pira e Sturzo non ressero all’urto degli eventi» (37). L’autrice, così, continua a descrivere come il dibattito di fondo prosegua all’interno della Democrazia cristiana, con attenzione soprattutto alle posizioni del sindacato e degli avversari politici e ai loro interventi nell’opinione pubblica. «Il terzo Convegno dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (novembre 1951) fu il passaggio fondamentale per la comprensione delle diverse impostazioni teoriche sul ruolo dello Stato» (53); d’altronde, non si poteva sfuggire ad un tema cogente così formulato: «Funzioni e ordinamento dell stato moderno». Pagliai, dunque, evidenzia come «stricto sensu», la prospettiva di La Pira punta a proporre lo schema di una storia in transito lineare e progressivo per affermare la dinamica oltremondana (la “finalità”) che la sostiene e la alimenta» (56) e come proprio il sindaco di Firenze avesse fatto presente a Sturzo che la funzione dell’economia non fosse per lui una nozione “amorfa” bensì un indirizzo che andava di volta in volta ridisegnato all’interno della dinamica delle relazioni sociali (ivi).
E guardando alla preziosa appendice documentaria, posta dalla ricercatrice a completamento della sua ricerca, ecco un brano di una lettera di La Pira ad Angelo Costa, presidente della Confindustria: «La “congiuntura” storica è giunta in Italia ad una svolta: lo stato “liberale” dichiara ogni giorno di più, da noi, il suo irrimediabile tramonto ed il suo rovinoso fallimento: ci vogliono otri nuovi per vino nuovo: la Chiesa lo ha sempre detto: il liberalismo economico è davvero eresia di fondo che ha in sé radicato, alimentato e fatto fruttificare il marxismo prima e lo stato comunista dopo» (119). La lettera è datata “23 novembre 1953”, mentre in un’altra del 30 aprile 1954, leggiamo: «Diritto di licenziare - cioè di togliere il lavoro e il pane - che può avere anche come fondamento il risentimento verso chicchessia! Una società che è ancora a questo punto di arretratezza non ha certo grandi prospettive di luce per il proprio avvenire» (155). Solo venti giorni dopo, peraltro, avrebbe scritto a don Sturzo, premettendo la parabola del Samaritano: «...Intervento statalista? Lo chiami come vuole: le etichette contano poco: intervenire si deve: “intervenire” è la norma unica di tutta la morale cristiana e umana: scendere da cavallo, prendersi cura del ferito - anche se nemico - e, se necessario, pagare anche le spese» (176-7).
Ci si rende conto di come - lo sostiene la Fondazione Giorgio La Pira - «il teorema lapiriano sulle politiche pubbliche, pur ricevendo la sua formulazione più radicale nello scenario del secondo dopoguerra, continua a rappresentare una stimolante traccia di lavoro per il nostro tempo». Del resto - lo ha sottolineato proprio Antonio Airò, recentemente (cf Luigi Sturzo cit.) - «Sturzo non poteva certo immaginare la crisi mondiale di questi mesi che ha rivalutato l’intervento pubblico nell’economia, dando in un certo senso ragione a La Pira».
Data recensione: 01/07/2009
Testata Giornalistica: Parola e Storia
Autore: Angelo Sconosciuto