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Le 72 fotografie in bianco e nero di Francesco Jappelli, pubblicate vent’anni dopo l’ultimo scatto, ritraggono angoli di una Praga che non esiste più, perlomeno di giorno e a prima vista. Quella Praga è oggi una Praga

Le 72 fotografie in bianco e nero di Francesco Jappelli, pubblicate vent’anni dopo l’ultimo scatto, ritraggono angoli di una Praga che non esiste più, perlomeno di giorno e a prima vista. Quella Praga è oggi una Praga notturna, una Praga dei giorni di pioggia, una Praga da andare a cercare, a volte anche con fatica. Negli anni Ottanta era invece una Praga regalata a ogni passo, per non dire svenduta, a chiunque avesse la pazienza (i soldi allora non erano un problema) di superare una cortina di ferro che stava in piedi come la cenere della sigaretta sul punto di crollare. Ed è un bene che Jappelli l’abbia ritratta proprio nell’ultimo momento in cui era possibile farlo alla luce del sole: gli anni finali della totale sospensione temporale della normalizzazione di Gustav Hus´ak (“anni in cui splendore e abbandono della città si rispecchiavano a vicenda”, dice l’autore nella sua premessa, p. 13). Sono fotografie che hanno qualcosa della astoricità delle immagini di Jan Reich, sia pure per percorsi paralleli e non influenze reciproche, portando alla valorizzazione di quegli angoli di territorio in cui la storia si è sedimentata, pur senza apparirvi quasi mai. Ma la storia in realtà è presente, ma non nella fotografia, non invade lo spazio visivo, si ferma accanto, grazie anche al gioco di rimandi intertestuali con i versi e i passi in prosa che in ogni pagina accompagnano le immagini. Testi letterari di autori cechi e tedeschi (più il bonus di Praga magica di Ripellino), scelti con grande sensibilità, accompagnano infatti la passeggiata letteraria costruita dal fotografo. La letteratura quindi non è un “pretesto”, come tante volte accade, ma un “paratesto” di uguale importanza in quell’efficace “macrotesto” del libro costruito e realizzato da Jappelli. Ed è funzionale perché racconta ci`o che non c’è. Sergio Corduas nell’introduzione mette opportunamente in evidenza proprio il fatto che “non si devono guardare queste fotografie senza sentire quel che in esse manca” (S. Corduas, “Praga non magica né tragica”, pp. 7-12). Ma non è solo un gioco su ciò che chi è stato a Praga sa esserci dietro gli angoli fotografati, è un consapevole rimando a ciò che è avvenuto in quei luoghi nel lontano passato. A molti la modernizzazione di Praga è sembrata uno scempio e potrebbero vedere in questo libro un omaggio a una Praga sparita, come le vecchie cartoline di città al di fuori della memoria. Ed è forse per questo motivo che in ogni immagine si avverte una strana rarefazione da città di provincia, data più ancora che dall’assoluta normalità (se non alle volte totale assenza di moda) dei vestiti delle poche persone inquadrate di sfuggita (e lo stesso vale anche per le automobili), dalla particolarità dell’inquadratura e dell’esposizione, obliqua la prima, lunga la seconda. Per chi quella Praga non l’ha conosciuta non potrà non risultare sorprendente il decadimento di Mala strana, così come il grigiore delle facciate di edifici che hanno oggi colori squillanti. Ma ancora più belle da cogliere sono le tracce di dettagli di un passato preistorico, gli alberi a Kampa, qualche palazzo scrostato, logori manifesti sovrapposti gli uni agli altri, le vecchie uniformi della polizia. A stupire davvero, alla fine, non è tanto però l’assenza delle insegne pubblicitarie o dei turisti, ma l’assoluta sospensione del tempo ottenuta da Jappelli. E in fondo è proprio questo che è successo nella Praga dei vent’anni successivi alla rovina della Primavera, quando il tempo è rimasto irrealmente sospeso. Non a caso, come dice Corduas, è visibile l’assenza quasi assoluta dei simboli del comunismo: “i luoghi e il modo in cui Jappelli fotografava sono di anni in cui di ‘socialismo’ non v’era ormai quasi traccia, già sostituito da locale consumismo, mascherato libero mercato per multinazionali, privata cinica ricerca di bene materiale” (p. 12). Dopo il 1989 sono stati molti gli italiani perplessi davanti alla nuova Praga “capitalista” e capitava spesso di avvertire vera nostalgia per la città di una volta, una nostalgia che pochi cechi, a essere sinceri, comprendevano. E spesso peraltro non si trattava nemmeno del mondo irreale e fascinoso così ben colto da Jappelli, ma era quel sentimento che assale quando si entra nelle “riserve indiane”, dove ci si sente sempre fuori luogo, anche se più ricchi. Anche perché la domanda è molto semplice, anzi banale: perché proprio Praga sarebbe dovuta rimanere chiusa nella sua prigione normalizzata? Le fotografie di Jappelli sembrano dare una risposta irrazionale: semplicemente perché era bella...Alessandro Catalano
Data recensione: 01/07/2009
Testata Giornalistica: eSamizdat
Autore: ––