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Lontano anni luce dalla letteratura di consumo, questo libro ha il pregio dello spessore e si impone come un’opera polivalente, stratificata, ricca. Lo si può leggere lasciandosi travolgere dall’irruenza della forma, ma

[...] Lontano anni luce dalla letteratura di consumo, questo libro ha il pregio dello spessore e si impone come un’opera polivalente, stratificata, ricca. Lo si può leggere lasciandosi travolgere dall’irruenza della forma, ma anche calandosi nelle implicazioni (im)morali che sono provocatoriamente messe in campo. In ogni caso l’opera esclude accostamenti formalistici o moralistici ed ha piuttosto il merito di saper porre domande. Il singolo “impazzimento” di cui si narra può facilmente essere catalogato in chiave paradigmatica, ma risulta evidente che l’opera di Alvino rovescia lo schema novecentesco secondo cui da un certo momento in poi della sua evoluzione il “romanzo di formazione” debba per forza di cose raccontare storie di “formazioni mancate”. Qui invece la formazione, sia pure in un contesto da incubo, avviene. La “voce” risulta avere una forza per cosi dire “maieutica” e spinge il protagonista a ritrovare un se stesso più autentico, anche se più inquietante. Ed è per questo che, fuori da implicazioni moralistiche, ogni pagina di Là comincia il Messico ha una possente e “insostenibile” forza turbativa. (Dialogo a una voce, in «Caffè Michelangiolo», a. XIII, maggio-agosto 2008)
Data recensione: 01/01/2009
Testata Giornalistica: Fermenti
Autore: Alfonso Lentini