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È stato, assieme a Filippo Brunelleschi (per cui, tra l’altro, nutriva una forte antipatia), il più grande architetto del Quattrocento italiano. Fine umanista, profondo conoscitore della civiltà classica, autore di numerose opere

È stato, assieme a Filippo Brunelleschi (per cui, tra l’altro, nutriva una forte antipatia), il più grande architetto del Quattrocento italiano. Fine umanista, profondo conoscitore della civiltà classica, autore di numerose opere - anche a carattere letterario, filosofico ed esoterico - Leon Battista Alberti (1404- 1472) lega da sempre il suo nome a Rimini, città ove ha realizzato uno dei suoi maggiori capolavori: il Tempio Malatestiano. È singolare come però quasi alcuna traccia rimanga di questa prestigiosa commissione nelle lettere private dell’architetto. Nel Corpus epistolare e documentario di Leon Battista Alberti (a cura di Paola Benigni e Roberto Cardini, Firenze, Polistampa, 2009, pp. 664, euro 60), ponderoso volume che raccoglie tutte le lettere scritte dall’architetto (e pubblicato nell’ambito dell’Edizione Nazionale delle Opere dell’Alberti), solo una missiva, datata 18 novembre 1454, porta testimonianza di questo incarico. Missiva ancor più straordinaria se si considera il fatto che è l’unico foglio autografo dell’Alberti che riporta un suo disegno, l’unico schizzo conservatosi al mondo di sua mano: un fregio architettonico che doveva nascondere alla vista il tetto dell’edificio. 1450: Alberti si trova a Roma, in qualità di architetto e urbanista di Papa Niccolò V. Nello stesso periodo scrive il De re aedificatoria, opera rivolta non solo agli specialisti ma anche al grande pubblico di educazione umanistica, sul modello dei dieci libri del De Architectura di Vitruvio, allora circolanti in copie manoscritte e non ancora corrette filologicamente. Considerando il lato architettonico più significativo della temperie umanista, è diviso in dieci libri nei quali si affrontano, oltre problemi di natura tecnica, anche questioni più teoriche, prima fra tutti la ricerca della bellezza degli edifici attraverso il rispetto di armonie esprimibili matematicamente grazie alla scienza delle proporzioni. Una parte del libro è tra l’altro specificatamente dedicata alla costruzione dei fabbricati, suddivisi in chiese, edifici pubblici ed edifici privati. È probabile che proprio la lettura di quest’opera, oltre che la fama con cui l’Alberti era già conosciuto, abbia convinto un signore ambizioso e amante dell’arte come Sigismondo Pandolfo Malatesta a chiedere all’architetto del papa di assumere i lavori di trasformazione della chiesa di San Francesco. Il signore di Rimini voleva che al posto dell’antica struttura gotica sorgesse un “Tempio Malatestiano” tempio in onore e gloria sua (che celebrasse una sua vittoria militare a Vada nel 1450) e della sua famiglia. Quest’edificio doveva anche adempiere a un misterioso voto, sul quale ancora oggi gli storici non hanno fatto luce. Inizialmente il Malatesta ne aveva affidato i lavori a Matteo de’ Pasti, ma non era del tutto soddisfatto del progetto presentato. Dopo averlo modificato egli stesso, proponendo di rivestire con un paramento di marmo le trecentesche strutture esterne della chiesa, si risolse a consultare Leon Battista Alberti, conferendogli quindi l’incarico. L’architetto del Papa si trovò quindi a gestire i lavori in corso d’opera, e dunque «ad aiutare quel che è fatto e non guastare quel che s’ha da fare». La lettera, diretta dall’Alberti a Matteo de’ Pasti (degradato al ruolo di capomastro), affronta questioni prettamente tecniche (e a causa di ciò si spiega la presenza dello schizzo) e testimonia da una parte le divergenze e le incomprensioni fra i due e dall’altra la lentezza dei lavori che, ancora nel 1454, procedevano su base teorica, a causa della lontananza da Rimini dell’Alberti. Esaminando varie questioni strutturali - la dimensione e la forma della cupola, la struttura e le proporzioni dei pilastri rispetto alle cappelle progettate dal Pasti, la costruzione della volta e delle finestre, i rapporti armonici della facciata - Alberti esprime con chiarezza la convinzione che l’architettura debba seguire i modelli classici, di chi «fece le Terme e il Pantheon». L’idea dell’Alberti era di innalzare la chiesa su uno zoccolo ispirato ai templi latini e quindi immaginare la facciata con due ordini sovrapposti. Ai lati dell’ingresso si sarebbero posti i monumenti sepolcrali di Sigismondo e della moglie Isotta. La parte superiore della facciata doveva essere rialzata e conclusa da un arco, con a lato due volute curve (i fregi architettonici schizzati sulla lettera) mentre per le fiancate erano previste una teoria di arcate ispirate alla serialità degli acquedotti romani. L’eccezionale importanza di questa lettera è paragonabile solo alla singolarità delle sue vicende. Ricevuta la missiva, Matteo de’ Pasti la inoltrò a Sigismondo Malatesta. Il signore di Rimini, valente uomo d’armi, era in quel momento impegnato, al servizio della repubblica di Siena, in una campagna bellica contro il conte di Pitigliano. L’autografo dell’Alberti fu affidato, assieme ad altri documenti riguardanti il governo di Rimini, al corriere Sagramoro Sagramori. Quest’ultimo, mentre si stava recando dal suo signore, venne sequestrato da alcuni ufficiali senesi i quali, evidentemente, non si fidavano fino in fondo del loro ambizioso uomo d’arme. Il rapimento del corriere spiega la temporanea conservazione di questa lettera nell’Archivio di Stato di Siena da dove poi giunse nelle mani di Teofilo Gallacini (noto erudito senese) che la rilegò in una miscellanea di carte e documenti intitolata Raccolta senese. Rimane ancora oggi un mistero su come questa miscellanea sia giunta al monastero di San Michele a Murano, sull’isola di san Giorgio Maggiore a Venezia, come testimonia l’indice della biblioteca curato nel 1779 da Giovanni Benedetto Mittarelli. Di lì a poco, a causa della soppressione delle congregazioni monastiche voluta da Napoleone, il patrimonio librario della biblioteca venne smembrato: alla chiusura del convento, nel 1810, alcuni manoscritti furono trasferiti alla Biblioteca Marciana, altri (tra cui la Raccolta senese) furono venduti e andarono a far parte di collezioni private. La lettera dell’Alberti fu acquistata da un anonimo finanziere italiano residente a Parigi (ove nel 1932 venne consultata dallo studioso Corrado Ricci) e quindi di nuovo messa all’asta a Ginevra nel 1956 quando fu acquistata dalla Pierpont Morgan Library di New York, che a tutt’oggi la conserva. Come noto la morte nel 1468 di Sigismondo Pandolfo Malatesta pose fine ai lavori del Tempio: benché incompiuto celebra ancora oggi la gloria del suo committente (cantato anche nel Novecento da Ezra Pound), la fasto della Rimini del Quattrocento e la genialità del suo architetto.
Data recensione: 26/07/2009
Testata Giornalistica: Voce di Romagna
Autore: Gianluca Montinaro