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Ci sono alcuni scrittori che si distinguono per la particolare significatività che la loro storia personale può assumere nell’esame critico delle loro opere. È opportuno affrontarli con una speciale sollecitudine di

Ci sono alcuni scrittori che si distinguono per la particolare significatività che la loro storia personale può assumere nell’esame critico delle loro opere. È opportuno affrontarli con una speciale sollecitudine di riferimenti biografici, alla luce dei quali scoprire un’ulteriore ricchezza del testo. Tale ricchezza ha, per E. G., un nome preciso: quell’«invenzione» che è posta come terza e ultima parola del titolo del suo volume, quasi a culminare la trafila che suggerisce al lettore la chiave della sua metodologia critica. Il suo sguardo è infatti soprattutto alla ricerca di questo ‘terzo’ momento dell’analisi, in cui sembrano percepibili le più intime dinamiche del laboratorio creativo di uno scrittore, in cui la sua «vita privata» affiora in superficie, o meglio, più indirettamente, vi si specchia, perché essa appare certo travestita dall’opera di mediazione letteraria che è proprio ciò che la G. ama esplorare. Per certi autori, si diceva, come p. es. Saba e Penna, questo atteggiamento critico è davvero congeniale, in quanto incontra una poesia che può dirsi animata da intenzioni di testimonianza di una complessa e sofferta autenticità. Non a caso a Penna è dedicato il maggior numero degli studi antologizzati in questo volume, in cui compaiono, insieme a interventi recenti, i saggi già raccolti nel primo lavoro di critica letteraria italiana del Novecento della G. (dal titolo ‘penniano’ L’autobus e la stella filante) uscito nel 2002 per i tipi della pugliese Grafica Baal, in un’edizione sostanzialmente fuori commercio. Ma anche i contributi di natura archivistica riflettono l’impostazione di questa studiosa, allieva di Lanfranco Caretti, abile a valorizzare quei materiali ‘minori’ (Una prosa lirica di Sandro Penna non compresa in «Un po’ di febbre») e a focalizzare quegli aspetti ‘inediti’ (Scritti letterari e civili di Arturo Loria sul «Mondo » fiorentino di Bonsanti (1945-1946)) che restituiscono un’immagine più vera e completa di alcune personalità del nostro Novecento. Una tale cura per la ricerca documentaria, testimoniata più specificamente dagli allestimenti di indici e schede bibliografiche (Prime stampe delle poesie di Penna; Indici di «Mercurio» (1944-1948); Breve rassegna di studi su Sandro Penna (1990-1996); Per l’epistolario di Eugenio Montale. Indice delle lettere pubblicate (1946-2004)) le proviene certo dalla sua attività di bibliotecaria presso il Seminario Arcivescovile di Firenze, ma si direbbe anche una disposizione spontanea di questa italianista ‘per passione’, i cui eterogenei argomenti di studio sono scelti per interesse personale o, come nel caso degli scritti su Claudio Magris (L’amorosa traccia; Il “viaggio” di Claudio Magris), per «un’ammirazione insieme etica e poetica». Dunque il volume si presenta contraddistinto insieme dalla fluidità propria di chi scrive raccontando il proprio gusto letterario e da un rigore filologico che nutre di esattezza la scrittura, e che ne sostanzia le intuizioni là dove, come nel commento ai documenti, questo appare indispensabile. È il caso del primo degli studi (Una lettera di Penna a De Robertis (1957)) che, disposti seguendo l’ordine cronologico della loro uscita su rivista (si tratta dei più importanti periodici fiorentini), compongono l’itinerario di lettura. La G. scopre nella missiva penniana, da lei stessa reperita, dei toni e una strategia di self-fashioning affini a quelli che connotano la scrittura lirica; inoltre, intorno a questo documento, delinea le modalità del dialogo fra due sensibilità, quella del poeta e quella del critico-filologo, che, per certi aspetti, erano in sintonia. Saggistica 229 Quasi raccogliendo l’opinione di De Robertis sul poeta umbro come «artista consapevole », contrapposta alla tendenza che a partire da Solmi ne riconduceva ogni qualità piuttosto all’ingenuità e alla freschezza, l’A. ci offre poi in Sul primo Penna una pregevole analisi di come, nella prima raccolta (1939), egli abbia organizzato una gestione “narrativa” degli stati d’animo confessati nei testi. Già nella poesia esordiale (La vita è ricordarsi di un risveglio) il dittico di situazioni, connotate rispettivamente da dolore e da godimento, è per la G. marcato da quella «ambiguità» intesa come cifra stilistica, con la quale il giovane Penna fa interagire due piani, uno dei quali è il substrato dell’altro, determinando una complessità sentimentale che è possibile studiare a livello di macrotesto, su di una linea narrativa. Seguendo questa linea se ne possono apprezzare i passaggi nella loro reciprocità creativa, per cui, p. es., il tema fondamentale dell’omofilia genera quello, più sensibile nella seconda metà della raccolta, dell’innamoramento per il mondo popolare, nelle sue situazioni di contemplazione del fascino fisico dei lavoratori o del paesaggio rurale con i suoi simboli. E inoltre, seguendo questa linea è forse possibile salvaguardare quella lieve evoluzione di storia personale che Penna stesso si riconosceva, seppure non mancasse di renderne problematica l’individuazione grazie all’ambigua compresenza di realismo quotidiano e astrazione idealizzante, di pulsioni d’angoscia e di autoinganni. In Una prosa lirica di Sandro Penna non compresa in «Un po’ di febbre», il commento di questo racconto ‘perduto’ dopo la pubblicazione su «La Rassegna d’Italia» del 1946, è ancora un’occasione, sebbene su un piano diverso rispetto a quello su cui si collocano le osservazioni dello scritto precedente, per indagare un personaggio che è insieme lirico e narrativo. È proprio il «tumulto intimo» del protagonista a dettare i tempi e le azioni indolenti, di natura contemplativo-elegiaca, del brano che la G. riporta all’attenzione della critica. Segue poi un contributo di materiale in gran parte inedito, Lettere di Eugenio Montale a Giacomo Debenedetti (1922-1947), che permette di ricostruire l’incontro e l’affettuosa intesa culturale intercorsa tra Montale e Debenedetti, direttore di «Primo Tempo» quando vi comparvero alcuni Ossi, e amico con cui condividere interessi e pareri letterari, p. es. su Svevo, Joyce, Proust, Radiguet, Larbaud, Cecchi, Gargiulo. Questi nomi sono menzionati a più riprese in una scrittura contraddistinta dal peculiare stile a metà tra registro biografico ed elaborazione artistica, quello stile «sobrio, ispirato a spezzatura e a secco humour» che Contini e Bettarini, nell’edizione critica, considerano indicativo dell’evoluzione montaliana tra Genova e Firenze, città della maturità. Per inciso, va segnalato che le lettere montaliane qui pubblicate, e corredate di un apparato di note, sono state successivamente (nel 1996) integrate da E. Bonora, che, senza presupporre il lavoro della G., ha curato l’edizione di 17 lettere del periodo 1923-1928 in Dagli “Ossi” alle “Occasioni”. Lettere di Montale a Debenedetti, sul «Giornale storico della letteratura italiana». Anche nell’operazione di ristampa di sette recensioni firmate da Penna (Sandro Penna: 7 recensioni su “L’Italia Letteraria” (1932-1933)), una delle quali a Isola, la prima raccolta di poesie di Gatto, la G. intende offrire alla platea degli studiosi una tessera poco nota in possesso della quale poter avviare una riflessione di ordine sia letterario che biografico. Infatti, soltanto contestualizzando questi scritti nel particolare momento di disagio vissuto al tempo da Penna, «a fronte delle sollecitazioni di chi, come Saba e Montale, cercava di spingerlo a qualche occupazione pratica», si comprende il perché del giudizio autocritico di «critica malfatta » e l’improvviso interrompersi della sua attività di recensore. Un simile intento si riconosce nella scelta di pubblicare gli scritti giornalistici loriani (Scritti letterari e civili di Arturo Loria sul “Mondo” fiorentino di Bonsanti (1945-1946), che testimoniano come accanto al volto “notturno” dei racconti, lo scrittore iscritto al Partito d’Azione coltivasse una sensibilità civile, immune da impronte ideologiche e sempre alla ricerca di una visione molto lucida e personale della società. Loria è poi l’argomento della recensione (Sulla riserva ebraica: l’immaginario surreale di Arturo Loria) della monografia di Ernestina Pel230 Saggistica legrini La riserva ebraica. Il mondo fantastico di Arturo Loria, nel cui àmbito la G. prova a mostrare come certi temperamenti comico-grotteschi della scrittura surreale loriana siano ascrivibili o, quanto meno, derivabili dalla categoria dell’umorismo letterario ebraico, e come in generale sia plausibile sostenere la tesi di un’ebraicità alla radice del repertorio tematico e stilistico di questo scrittore. La G. recensisce anche il volume che raccoglie gli Atti di un Convegno su Anna Banti, L’opera di Anna Banti, a cura di Enza Biagini, comprensivo degli interventi di Piero Bigongiari e Cesare Garboli, mentre, del saggio di Roberto Bigazzi, Le risorse del romanzo. Componenti di genere nella narrativa moderna, propone una lettura alla luce del precedente Colori del vero, di cui per certi aspetti, è una riscrittura più ricca e aggiornata. Segue quindi la presentazione della raccolta antologica delle lettere di Italo Calvino curata nel 2000 da Luca Baranelli per i Meridiani (Una biografia intellettuale: le lettere di Calvino (1940-1985)), di cui illustra i criteri di allestimento e le opportunità che un tale scrupolosissimo lavoro offre agli studiosi dello scrittore o delle personalità del mondo letterario, teatrale, musicale ed editoriale che sono fra i suoi interlocutori. Altri contributi sono Una carta d’identità per il nostro «Vieusseux», recensione dello studio di Laura Desideri Il Vieusseux. Storia di un gabinetto di lettura, 1819-2000. Cronologia, saggi, testimonianze, sull’istituzione culturale a cui la G. è legata per quella ‘fiorentinità’ alla cui orbita possiamo ricondurre anche Piero Bigongiari, il cui libro postumo La poesia pensa. Poesie e pensieri inediti. Leopardi e la lezione del testo è argomento di una suggestiva recensione dal titolo L’ultima stagione lirica e metafisica di Piero Bigongiari. La G. nota come, nei componimenti pubblicati in questo volume, Bigongiari elabori una prospettiva sapienziale del tema amoroso: l’amore, inteso come senso del radicamento esistenziale, anima una meditazione poetica definibile ‘metafisica’ («Il mare non è perfetto, nulla è / perfetto, nemmeno amare, nemmeno / la luce sul mio tetto. Tutto appare e / scompare. Forse ha bisogno di riposo / il tempo, il dubitoso abitatore dello spazio, […]» da L’universo ha un cuore). Di seguito, s’incontrano le recensioni di Amelèto, in nome dei padri, la raccolta poetica di Giuseppe Favati, vincitore del Premio «Orient Express» del 2000, e della monografia di Ernestina Pellegrini e Beatrice Biagioli dal titolo Rina Sara Virgillito. Poetica, testi inediti, inventario delle carte, di cui è messo opportunamente in rilievo il notevole lavoro inventariale, allo scopo di restituire un panorama completo della storia personale e dell’originale attività poetica e traduttoria della Virgillito. Tra le informazioni raccolte, spicca l’amicizia con Montale, che nel 1954 fu tra i primi e più acuti recensori, e che, forse, agì come modello a cui si direbbero orientate alcune caratteristiche stilistiche della poetessa. Utili a ‘fare il punto’ sugli studi e le novità critiche, oltre che nel fornire indicazioni di approfondimento, sono anche Per Luigi Meneghello, omaggio breve, recensione a Luigi Menghello: alle radici del dispatrio, di Ernestina Pellegrina, e Per l’epistolario di Eugenio Montale. Indice delle lettere pubblicate, dove peraltro viene avanzata la proposta di allestire un epistolario organico, anche in forma antologica, della corrispondenza montaliana, così spesso in grado di incidere positivamente sull’esegesi della produzione lirica. Gli interventi su Magris, L’amorosa traccia (2006) e Il «viaggio» di Claudio Magris, interpretano rispettivamente il racconto Lei dunque capirà e il libro ‘di viaggio’ L’infinito viaggiare, tra i quali la G. suggerisce una continuità, specie riposta nel ruolo affidato alla memoria, capace di illuminare e vivificare con suggestioni letterarie o di natura privata tutto ciò che viene attraversato dalla scrittura: il lutto dell’amatissima moglie come i luoghi e gli incontri di infinite avventure naturalistico-culturali. Letteratura più che mai come «regno dell’invenzione e della libertà espressiva», dunque, in grado di restituire vitalità al passato e un sentimento sabiano di adesione alle cose a chi l’aveva perduto. Proprio di Umberto Saba tratta lo studio seguente, Saba poeta della biologia, in cui viene riportato alla luce un nodo tematico formato dall’intreccio di immagini poetiche, biografia Saggistica 231 e implicazioni psicanalitiche, percepibile nella circolarità esistente tra la rappresentazione di animali nel Canzoniere, la sfera della sessualità o quella dei simboli (si pensi alle celebri A mia moglie e alla Capra). Per finire, come già nel resoconto di un convegno fiorentino su Palazzeschi, Omaggio a Palazzeschi, geniale “homo ludens” del Novecento, e in quello, unito a un ritratto professionale, dei funerali di Luigi Baldacci (In memoria di Luigi Baldacci), la G. s’impegna nella cronaca delle giornate del Memoriale per l’anno maddaleniano 2007 a Firenze, nel cui àmbito si è svolta una mostra iconografica di cui, in parte, lei stessa ha curato l’allestimento, ed è stata promossa la prima edizione integrale dell’epistolario di Maria Maddalena de’ Pazzi. Nella gradazione degli argomenti e nel diverso genere dei contributi antologizzati, dal saggio alla recensione al resoconto di un evento culturale, la scrittura dell’A. è sempre agile e limpida, e, soprattutto, riesce a stimolare nel lettore quell’atmosfera mentale di convivialità, di libero dialogo letterario, che è forse la caratteristica più autentica del suo studio, arricchito, e non di rado, da intuizioni di valore.
Data recensione: 01/01/2009
Testata Giornalistica: Italianistica
Autore: Ida Campeggiani