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“È un fatto indimostrabile, lontano / migliaia di chilometri. Il servizio / ha voce in una lingua sconosciuta, / trasmessa da una radio clandestina. / La vita ovunque ha un prezzo, a volte basso / più di quanto s’immagini

“È un fatto indimostrabile, lontano / migliaia di chilometri. Il servizio / ha voce in una lingua sconosciuta, / trasmessa da una radio clandestina. / La vita ovunque ha un prezzo, a volte basso / più di quanto s’immagini. Del resto / non c’è un modo indolore di morire / in guerra. Da ciascuna delle parti / si contano le vittime, è normale / un bilancio di perdite, già messe / nel preventivo. Leggo nel sommario / che ogni truppa ha il suo fosforo, che illumini / o bruci, sono solo circostanze a / decidere, ha spiegato il capitano” (We cannot prove the fact, so many thousands / of miles, so far away. You see, the report / is brought in a language we don’t know, / broadcasted by a station underground. / A price for life, it happens everywhere. / Sometimes the price is low, more than you might / imagine. You know that there is no painless / way to die in the war. From either side / people counted the victims: a loss toll /is normal as an aftermath of whatever / plan. Now, I’m reading in the report / that every troop holds phosphor, as its own. / For lighting, or for burning, it’s only up to / circumstance, the captain so explained). 
Fosforo è uno dei 70 sonetti contenuti nel nuovo libro di Francesco Giuntini I colori dell’ombra (Polistampa, pp. 96, euro 8) in cui egli dà voce a tutti gli aspetti  scottanti e toccanti del reale: da Gaza a Guantanamo, dal testamento biologico agli OGM, da Al Qaeda all’uranio impoverito. Ogni cosa, cui è ceduta la parola, diventa protagonista, parlando del proprio mondo interiore, di solito inascoltato, come accade per la materia inanimata e silente. I neutrini, gli organismi geneticamente modificati, i microchips, i malati terminali in stato vegetativo, You Tube, ogni elemento del micro o del macro cosmo, ogni fenomeno sociale o astratto trova qui un luogo d’accoglienza.
Il libro – con ogni poesia nella doppia versione italiana e inglese – è organizzato in sei sezioni (Carnevale a Venezia, Groenlandia, Dal Palazzo di Vetro, Sul delta del Niger, Il cambio dello Yen, Terra del fuoco) perché è stato pensato come una sequenza di immagini provenienti da tutto il mondo, quasi come un telegiornale muto in cui sono le cose stesse a raccontare, senza l’intrusione o il giudizio di una voce esterna. Il poeta si ritrae lasciando la parola alla realtà: non è lui a parlare di Kabul, come il lettore si aspetterebbe nel sonetto così intitolato, ma è Kabul a parlare di sé: “Ho tappeti da vendere, hanno i nodi / più fini, hanno i colori sorprendenti / di una storia incredibile. Ho tessuti / nascosti, vieni avanti e guarda, adagio” I’ve got carpets for sale, they have the finest / plays of knots, they have surprising colours / of an incredible story. I’ve got concealed / clothes, come around and take a look). Rinunciando a sé, il poeta diventa onnipresente, ma invisibile. La sua parola lenisce, nella compartecipazione al medesimo destino di colpa e di espiazione, le ferite prodotte dall’arroganza e dal cieco punto di vista di chi è portato a infrangere continuamente il senso del limite, anche quello che separa la vita dalla morte.
Eloquente ed emblematico il sonetto I bambini del mondo che chiude la raccolta lasciando un pesante fardello di colpe agli adulti: “… Alla sera / i bambini del mondo si addormentano / ma non diranno quello che hanno letto / nello sguardo che spegne e si allontana” (At nightfall / the children of the world will fall asleep / but they will not tell us what they have read / in those eyes that darken and move on). Basta però ricordarsi che per Giuntini l’ombra non è né buio né assenza di colore (e quindi vita) per riacquistare un po’ di fiducia.
Data recensione: 21/05/2009
Testata Giornalistica: Il Cittadino
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