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Questa biografia di Emanuele Fenzi, uno dei personaggi più in vista della Toscana preunitaria, era attesa da tempo. Andrea Giuntini ha lavorato a lungo non solo sulle carte Fenzi del Museo del Risorgimento di Firenze,

Questa biografia di Emanuele Fenzi, uno dei personaggi più in vista della Toscana preunitaria, era attesa da tempo. Andrea Giuntini ha lavorato a lungo non solo sulle carte Fenzi del Museo del Risorgimento di Firenze, ma anche su altri importanti fondi archivistici toscani e sui documenti della casa parigina dei Rothschild, conservati negli Archives du Monde du Travail di Roubaix. Per esplicita scelta dell’autore, il frutto di questo scavo documentario ha assunto la forma di un libro “leggibile”, non solo contenuto nella mole, ma anche pressoché privo di cifre, di quei dati su investimenti, utili o giro d’affari, che ci si aspetterebbe di trovare nella storia di un negoziante-banchiere. Il taglio discorsivo è questione di fonti, perché, come sembra di capire, le carte Fenzi non contengono la contabilità, ma solo la corrispondenza, sia commerciale che privata, della “casa”. Ciò che è rimasto, comunque, non è poco, anche perché la lunga vita di Emanuele e la sua intraprendenza hanno fatto sì che in questo carteggio abbiano lasciato traccia pressoché tutte le iniziative imprenditoriali toscane dell’epoca, di breve o di lungo respiro. Gli spunti interessanti sono molti e disparati. Chi è interessato all’”industria” dei cappelli di paglia – l’attività sulla quale Emanuele costruì la sua fortuna – sarà incuriosito, ad esempio, dal progetto del 1830 di un cartelllo tra i maggiori fabbricanti toscani (pp. 67-9). Preziose anche le informazioni sull’appalto del tabacco, la più lucrosa delle concessioni granducali, nella quale Fenzi ebbe a lungo interessi, prima di divenirne concessionario dal 1844 al 1862. Sulle questioni ferroviarie, infine, dalla Leopolda alle Romane, questo volume si segnala non solo perché il biografato ne fu uno dei protagonisti principali, ma anche perché Giuntini è uno degli esperti riconosciuti del settore. Nel complesso risulta ridimensionata l’immagine troppo “modernizzante” che era stata attribuita al personaggio. Si sottolinea subito l’“incerta collocazione tra tradizione e modernità” (p. 19) e si indica il punto debole di un’accumulazione patrimoniale e di un’ascesa sociale, pur molto rilevanti: “La fortuna dei Fenzi dura poco, la famiglia si rovina alcuni anni dopo la morte di Emanuele”(p. 13). L’ultimo capitolo (“Il declino”) non lascia dubbi sul fatto che il rovinoso fallimento del 1891 non fu un incidente inaspettato e se il momento di svolta, come scrive Giuntini, fu l’Unità, anche l’ascesa precedente non può che inscriversi nel segno della fragilità. Colpisce, in particolare, l’incapacità di Emanuele di assicurarsi una successione. Ci si chiede se il mancato ricambio non sia da collegare con il tipo di educazione dato ai figli – più “signorile”, sembrerebbe, che imprenditoriale – oppure con un autoritarismo paternalistico che inibì l’autonomia delle generazioni più giovani (si veda, a p. 187, una bella lettera di Carlo, ormai quarantenne, al padre). Uno dei temi più stimolanti del libro è proprio quello dei rapporti familiari, tra il padre e i tre figli maschi, in particolare, ma anche tra Emanuele e sua moglie Ernesta Lamberti. “Prima Dio, poi il padre, e quindi la Patria”, scrive Emanuele a Carlo nel 1846 e, in piena epopea risorgimentale, una simile gerarchia non è da poco. Ma anche la figura di Ernesta, annoiata dai salotti e spesso in contrasto col marito, merita un approfondimento.Mirella Scardozzi
Data recensione: 01/01/2005
Testata Giornalistica: Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea
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