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Avevo ventisette anni quando nel 2000 insieme a mio padre feci la conoscenza di Giorgio Batini (25 agosto 1922 - 7 aprile 2009). Andammo a trovare a casa, in via Masaccio, questo

Ricordo Firenze, 19.04.09 - Avevo ventisette anni quando nel 2000 insieme a mio padre feci la conoscenza di Giorgio Batini (25 agosto 1922 - 7 aprile 2009). Andammo a trovare a casa, in via Masaccio, questo grande giornalista-scrittore che voleva proporre un saggio divulgativo alla nostra casa editrice. Ammirammo la collezione di ritratti moderni e alcune delle sue famose ceramiche antiche. Chiacchierammo a lungo. Da allora mi sono sempre occupato io di Batini e abbiamo realizzato insieme tantissimi libri: romanzi, racconti, libri di storia toscana e non solo, memorie di una vita e di una carriera straordinaria.
Sbocciò una lunga collaborazione e, gradualmente, una riguardosa ma profonda amicizia. Noi ci siamo sempre dati del lei. Ero attratto dalla sua grande professionalità editoriale, ammiravo per esempio il talento innato nel sintetizzare un titolo o la capacità di stendere in modo chiaro e sempre appassionante sia l’articolo che il libro. Soprattutto aveva una memoria sovrumana, innaturale. A ottant’anni passati ricordava tanti fatti, nomi, dati, date: scriveva i libri di getto, verificando solamente dopo, con scrupolo, alcuni passaggi dubbi: raramente la memoria aveva fallato. Mi ha descritto diverse volte questo suo processo di scrittura. Parlava molto di sé, pregi o difetti, virtù e debolezze.
Ma sapeva anche ascoltare e incoraggiare, visto che è grazie alle sue dichiarazioni di stima che ho risolto l’indecisione tra il mestiere di editore e quello di ingegnere. Diceva anche: “Ne ho viste tante di case editrici. Finché la parola editore è maschile va tutto bene, poi no. Finché si dirà, per esempio, ‘pubblico con i Pagliai’, cioè finché Mauro o Antonio Pagliai guideranno personalmente la casa, tutto bene. Se si comincerà a dire ‘pubblico alla Pagliai’, se un autore dovrà parlare con un’infinità di figure, cominceranno i problemi”.
Batini aveva anche delle caratteristiche fobie, che del resto confessava placidamente: per esempio lui che durante le sue inchieste aveva corso tanti pericoli aveva paura a entrare in un ascensore; per anni inviato speciale in tutto il mondo usciva però difficilmente di casa, soprattutto negli ultimi anni; pur essendo praticamente un personaggio pubblico si mostrava raramente in pubblico. Per questo una volta ebbi l’onore di ritirargli un premio Firenze in Palazzo Vecchio. Credo avesse molto timore anche della malattia e della morte.
Una volta, mentre la signora Batini mi preparava con la consueta squisita ospitalità il Campari e i cioccolatini, lui mi disse: “Vede, sono un uomo che sta morendo. Mi dica pure francamente di no, non c’è problema, altrimenti mi prometta di pubblicare ciascuno di questi tre lavori che sto ultimando”. Nella terna c’era anche la sua autobiografia. Promisi. Aggiunsi però: “Lei ha sette vite, come i gatti: campa più di me!” mentre pensavo che forse non tutto gli avremmo pubblicato in vita. Per uno scrittore queste promesse sono immensamente importanti. Molte volte Batini aveva avuto gravi problemi di salute, di cui mi parlava sempre dettagliatamente. Addirittura un giorno, ultraottantenne, si ruppe il femore e anche il polso. Dopo un ricovero neanche lunghissimo tornò a camminare senza supporti. Sette vite magari no, ma certo più di un paio. Ed è riuscito a vedere stampati tutti e tre quegli ultimi lavori.
Mi vanterò sempre delle lezioni di musica a casa di Nives Poli e di quelle d’editoria a casa di Giorgio Batini. Lezioni di vita soprattutto: questo è importante.
Data recensione: 01/05/2009
Testata Giornalistica: In-forma Firenze
Autore: Antonio Pagliai