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È capitato che ogni tanto, da capocronista, trovassi sulla scrivania una busta bianca con l’indirizzo scritto a mano in una grafia inconfondibile. Le lettere di Giorgio arrivavano improvvise. Ormai sempre più di rado

È capitato che ogni tanto, da capocronista, trovassi sulla scrivania una busta bianca con l’indirizzo scritto a mano in una grafia inconfondibile. Le lettere di Giorgio arrivavano improvvise. Ormai sempre più di rado. Contenevano apprezzamenti ma non risparmiavano qualche benevolo rilievo. Erano consigli affettuosi al giovane cronista, che oggi raccoglie la sua eredità nell’incarico più importante della cronaca di Firenze. Il posto che era stato suo. Consigli precisi e sintetici: Giorgio Batini scriveva così, da cronista vero. Con una efficacia che lasciava sconcertati nella sua semplicità. A rileggere molti dei nostri articoli di oggi c’è da arrossire. E da imparare. Mentre racconto questi modesti ricordi personali mi prende il timore di vedere, domani, una lettera di Giorgio che segnala le sbavature con l’umiltà del vero maestro. Per noi giovani con la passione del giornalismo, cresciuti leggendo La Nazione, Giorgio Batini era un mito. L’ho visto in tv raccontare il dramma del Cristo di Cimabue rovinato dall’alluvione del ’66, ed era come esserci. Nei libri della storia di Firenze spunta spesso l’immagine di lui, accanto ai sindaci più famosi del dopoguerra – La Pira e Bargellini – la sala di Clemente VII in Palazzo Vecchio. Accanto ai grandi personaggi, testimone critico e ascoltato. Ogni tanto gli chiedevamo un articolo, sicuri che solo Batini avrebbe potuto descrivere quell’avvenimento o quel personaggio della città. Da anni non stava bene, eppure mai aveva rinunciato: l’articolo arrivava nella solita busta bianca, esattamente come richiesto, completo nelle misure e perfino nel titolo. Irripetibili lezioni di giornalismo.
Data recensione: 08/04/2009
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Marcello Mancini