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Ora che inesorabilmente, ma non senza incredulità, siamo giunti quasi alla fine del primo decennio del 2000, il secolo appena trascorso appare più lontano, definito, e si comincia a prenderne le distanze, a vedere con

Ora che inesorabilmente, ma non senza incredulità, siamo giunti quasi alla fine del primo decennio del 2000, il secolo appena trascorso appare più lontano, definito, e si comincia a prenderne le distanze, a vedere con un certo distacco molti degli avvenimenti che all’epoca hanno suscitato contrapposizioni violente. È stato il secolo delle ideologie, si è detto, anche in campo artistico, ma almeno qui gli ostracismi, le polemiche furiose, i gesti di rottura non sembrano più possibili, semmai sono ristretti agli addetti ai lavori, il grosso del pubblico nonché i mass media mostrano un interesse superficiale e livellato sul luogo comune, non ci si indigna più ma nemmeno ci si entusiasma. Proprio il confronto con l’oggi ci fa guardare con una certa ammirazione se non con un sottile rimpianto – ideologie a parte – alla vitalità e all’entusiasmo del periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale, così ricco di fermenti, progetti, sperimentazioni in tutti i settori artistici, tra cui particolarmente rilevante quello musicale dove l’Italia ritrova un ruolo di protagonista internazionale grazie ad una fitta schiera di compositori che all’indomani della guerra avevano raggiunto la prima maturità. Tra i maestri che prepararono questa svolta emergono Petrassi, a Roma, e Luigi Dallapiccola, a Firenze: si deve proprio allo straordinario magistero di quest’ultimo se la città toscana diventa per un periodo un centro dei più vivaci per qualità e quantità di proposte, oltre che originale per la capacità di interpretare le novità delle tecniche dodecafoniche e seriali alla luce di un sempre vivo “umanesimo”, ovvero attenzione alla centralità dell’umano, e alle esigenze del sentire e della comunicazione.Non era facile, nel clima delle contrapposizioni di allora, professare indipendenza di pensiero e di scelte tecniche, uscire da un’ortodossia imposta e giudicante, si poteva pagare caro, essere considerati come dei sopravvissuti, degli inattuali. Sarà un caso, ma ora ad interessare di più, a essere ascoltati con attenzione e con la speranza di cogliere indicazioni rivelatrici per uscire dal vicolo cieco dello sperimentare a tutti i costi e ritrovare un nuovo contatto con il pubblico, sono proprio questi compositori “marginali”, per esempio uno come Carlo Prosperi che l’importante volume da poco uscito consacra tra i compositori più eminenti del dopoguerra.Prosperi (Firenze 1921-1990) si forma presso il conservatorio fiorentino dove segue gli insegnamenti di Vito Frazzi e soprattutto di Luigi Dallapiccola, con il quale matura poi un rapporto sempre più stretto non solo di rispetto e stima ma di amicizia e condivisione di ideali etici ed umani: in linea con l’esempio del suo maestro: in linea con l’esempio del suo maestro, Prosperi “adotta la disciplina del codice atonale senza però accogliere gli esiti più intransigenti dello sperimentalismo avanguardista. Una dodecafonia ‘ben temperata’ la sua, sempre attenta agli esiti comunicativi del rapporto tra artista e pubblico, e utilizzata più come tecnica che come sistema, utile per un controllo rigoroso della costellazione sonora. Un linguaggio personale che è approdato a una concezione della musica come chiarezza e comunicazione, armonia di suoni cristallini...” (Ruffini). Al conservatorio di Firenze Prosperi ritorna come docente di composizione dal 1969 all’’89 dando vita ad una scuola di composizione tra le più rilevanti e cospicue dell’intero panorama nazionale, e dedicando all’insegnamento anche una serie di opere didattiche. Unico periodo vissuto fuori dell’amata Firenze quello tra il 1950 e il ‘58 in cui è collaboratore alla programmazione musicale nelle sedi di Torino e Roma della RAI (curioso ricordare che a lui si deve la scelta del brano tratto dal Te Deum di Carpentier per la sigla del collegamento in eurovisione). Prosperi è autore di musica da camera, sinfonica e sinfonico-corale, con brani che ebbero un notevole successo e numerose esecuzioni grazie anche alla stima di cui godette presso interpreti come Piero Bellugi, che lo diresse più volte in importanti istituzioni; ma conobbe anche una vera e propria censura, a seguito di una sfavorevole recensione a firma di Massimo Mila relativa alla cantata Noi solda’ eseguita a Roma nella stagione 1967 della RAI, vittima del clima ideologico di quegli anni e di una sostanziale “inattualità” delle sue scelte compositive, cosicché dopo un lungo silenzio è ora giusto parlare di un “Prosperi ritrovato”, come scrive Mario Ruffini nella nota biografica (un silenzio non esclusivo dal momento che nel 1993 era uscita la prima monografia sull’autore, a cura di Renzo Cresti, promossa dal Gruppo Italiano di Musica Contemporanea di Firenze).Ecco dunque questo importante volume che nasce da varie e concomitanti sollecitazioni: nel settembre 2004 Giuliana Prosperi, figlia del compositore, decide di affidare al Gabinetto G.P. Viesseux tutto il lascito di documenti, testi, libri, spartiti, appunti e lettere del padre, nonché il ricco materiale iconografico, materiali che con il marito Massimo Masi aveva già provveduto a riordinare e catalogare. La scelta avviene su suggerimento di Laura Dallapiccola, che all’Archivio aveva già donato il fondo del maestro istriano, nonché di Mario Ruffini, allievo di Prosperi, e sancisce una volta di più la preziosa attività della storica istituzione fiorentina, in particolare della sezione Archivio Contemporaneo. Voluto e fondato nel 1975 dall’allora direttore del gabinetto scientifico Alessandro Bonsanti di cui porta il nome, l’Archivio già nei primissimi anni della sua fondazione riceve i fondi di Ottone Rosai, Federico Ghisi, Tommaso Paloscia, Luigi Dallapiccola, Angelo e Adolfo Orvieto, Giuseppe Montanelli e la biblioteca privata di Ugo Ojetti; oggi si è arrivati a più di 130 fondi, per un totale di oltre 500.000 documenti e 50.000 volumi, ordinati e messi a disposizione degli studiosi nell’apposita sede di palazzo Corsini Suarez, in via Maggio. Particolarità di questo importante deposito è data dalla varietà di documenti raccolti, non solo libri e scritti ma cimeli di vario genere, lettere, disegni, fotografie, materiali documentari eterogenei cosicché “il solo lungo elenco di nomi degli oltre 140 soggetti produttori permette oggi di ripercorrere un itinerario della memoria unico, reso ancor più suggestivo da diramazioni e deviazioni sinuose tra tentacolari accumuli di carte, da una fitta e non sempre scontata trama di richiami, relazioni, passioni...”, come scrive Gloria Manghetti, direttore del gabinetto Viesseux, nella premessa al volume in oggetto.Il Fondo Prosperi non si sottrae a questa particolare trasversalità di interessi e sollecitazioni, come si può immediatamente verificare sfogliando il volume edito da Polistampa, ricco di materiale iconografico, disegni, opere pittoriche e testimonianze fotografiche.Infine come antecedente più prossimo, la tavola rotonda tenutasi nel giugno 2005 presso la sede di Palazzo Strozzi, in collaborazione con il Conservatorio Cherubini di Firenze, dal titolo: Carlo Prosperi e il Novecento musicale a Firenze, titolo poi traslitterato quasi identico nel volume; fu proprio durante quell’incontro, a quindici anni dalla morte del compositore e a presentazione dell’avvenuta acquisizione, a far maturare l’idea di pubblicare gli atti di quell’intensa giornata e ora concretizzatasi in questo volume che esce come numero triplo della storica «Antologia Vieusseux», in forma anomala rispetto alla consueta veste grafica per la complessità e ampiezza del materiale presentato, come recita il risvolto di copertina.Una rapida scorsa delle sezioni in cui si articolano le quasi ottocento pagine del volume daranno un’idea di contenuti e della peculiarità di questo contributo: dopo la premessa con le ragioni dell’opera, la descrizione del fondo e la nota biografica del compositore, si passa ad un catalogo ragionato delle composizioni musicali e didattiche, a cura di Mario Ruffini; segue una sezione sull’epistolario, in particolare con Dallapiccola e Bussotti; l’attenzione passa poi ai poeti di cui Prosperi utilizza i testi, i lirici greci, Petrarca, Holderlin, Montale e particolarmente Betocchi, con il quale ebbe un lungo e intenso rapporto di amicizia e collaborazione artistica. Due sezioni dai titoli stuzzicanti – Stelle erranti, poco erranti, caliginose e Serialità ben temperata – ci introducono nel vivo degli aspetti tecnici e delle scelte compositive di Prosperi, analizzate nel vivo delle vicende musicali coeve. Le ultime sezioni sono forse quelle più attraenti per il lettore non specialista offrendo studi che spaziano dalla situazione culturale italiana del tempo e fiorentina in particolare, con la documentazione del dibattito vivo in quegli anni, delle polemiche e delle difficoltà, agli stretti rapporti con il mondo dell’arte figurativa e con molti degli artisti legati all’ambiente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze (dove lavorava la moglie del compositore, Maria Teresa Ulivi, sorella del critico letterario Ferruccio), da Franco Gentilini a Emanuele Cavalli, da Mino Maccari a Quinto Martini, da Giovanni Colacicchi, direttore dell’accademia fiorentina, a Silvio Loffredo e tanti altri, le cui opere, tele, disegni, schizzi, sculture formano la cospicua sezione figurative del fondo. La ricca sezione di Apparati completa l’opera, per la soddisfazione e curiosità di studiosi e semplici lettori.
Data recensione: 01/10/2008
Testata Giornalistica: Erba d’Arno
Autore: Donata Bertoldi