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Il 15 giugno 2006 lo storico d’arte Antonio Natali è diventato, a 54 anni, direttore della Galleria degli Uffizi, dopo aver già diretto il Dipartimento di Studi sul

L’INTERVISTAIl 15 giugno 2006 lo storico d’arte Antonio Natali è diventato, a 54 anni, direttore della Galleria degli Uffizi, dopo aver già diretto il Dipartimento di Studi sul Rinascimento, Manierismo e Arte Contemporanea dello stesso museo. Ha scritto molti libri sulla pittura e la scultura del XV e XVI secolo, e monografie su Michelozzo e Andrea del Sarto. Molte fra le più importanti mostre d’arte del Quattrocento e Cinquecento a Firenze sono state curate da lui. Fra queste L’Officina della maniera, allestita alla Galleria degli Uffizi nel 1996, presentava capolavori di Michelangelo, Rosso, Pontormo, Andrea del Sarto, Raffaello e altri Maestri del XVI secolo.Professor Natali, anche suo padre Elvio ha rappresentato molto per la cultura fiorentina e italiana: poeta, per molti anni recensore d’arte all’«Avvenire» di Milano, si è occupato di estetica e di critica letteraria, collaborando a importanti riviste. Con Le cose tutte quante vinse il Fiorino d’oro a Firenze. Per lei cosa ha rappresentato Elvio Natali?Mio padre è la persona cui devo quasi tutto: soprattutto la curiosità intellettuale. Attribuisco alla sua influenza perfino la scelta di questa vita, fatta di giornate intere dedicate allo studio (lui si svegliava presto apposta per leggere, perché doveva poi andare a scuola a insegnare italiano e latino). Non mi costringeva a lunghe e noiose permanenze nei musei ma, essendo noi della Maremma, mi portava magari al Parco archeologico di Baratti e Populonia, con il solo obiettivo di incuriosire (e non quello di farmi imparare a memoria le date o i nomi).Chi è il professor Antonio Natali, 54 anni,
da pochi mesi direttore della GalleriaMio padre stava tanto con me, avvicinandomi a ciò che amava, parlandomene e inducendomi a pensarci: sotto questo profilo io mi sono dedicato meno alle mie figlie Benedetta, Caterina e Maddalena, lo riconosco. Ci ho passato anch’io molto tempo insieme, ma soprattutto per riposarmi e divertirmi come loro, forse un po’ egoisticamente. Lui prendeva le riviste d’arte contemporanea (mi riferisco alla fine degli anni Cinquanta, quando queste ebbero una grande diffusione) o quei libri che presentano opere di vari artisti e, giocando con me, copriva la didascalia e chiedeva “chi è?”. Vedevo negli occhi del babbo la gratificazione, io mi appassionavo sempre di più e l’arte mi entrava nel sangue.Antonio Natali è un “figlio d’arte” ma la sua carriera in Soprintendenza è chiaramente frutto di abnegato e appassionato lavoro. Non sta certo a me dirlo, ma sentirglielo affermare mi fa piacere. Può anche scrivere che non ho mai avuto tessere politiche e che non sono mai stato iscritto ad alcun club.Qual è stata la sua formazione?Sono nato in Maremma e ho vissuto lì con i miei genitori e la mia piccola sorella fino al 1966, quando mio padre chiese il trasferimento a Firenze, al Liceo Galileo, e lo fece per consentire a noi figli di crescere in un luogo più aperto, o almeno così doveva essere per una famiglia che proveniva dalla provincia. Avevo 15 anni e venni qui malvolentieri, anche per gli amici e soprattutto per un amore giovanile che lasciavo alle spalle. Dopo il liceo classico cominciai a frequentare la Facoltà di Lettere, iscrivendomi sia a un seminario di arte contemporanea che a uno di etruscologia… Non a caso. Ma non fui solo io a scegliere: fui anche scelto, perché già alla fine del primo anno Carlo Del Bravo mi offrì la tesi. È un altro a cui devo molto e cui resterò sempre legato: quel mio professore infatti mi ribadì la curiosità intellettuale e l’anticonformismo culturale, il non dare niente per scontato perché nello studio dell’arte tutto è degno di essere analizzato nell’ambito, si intende, dei propri interessi e delle proprie passioni. Solo partendo da zero (o quasi) nello studio e nella ricerca si può scoprire qualcosa di nuovo, anche se magari così facendo qualche volta si rischia di girare a vuoto per mesi.Si sente in sintonia con personalità come Carlo Sisi e con la sua impostazione critica?In grandissima sintonia, con lui ho tra l’altro curato la mostra L’officina della maniera. Tornando alla generazione di mio padre un altro grande maestro, cui devo moltissimo, è Luciano Berti, mio predecessore nella direzione degli Uffizi prima di Anna Maria Petrioli Tofani. Vede? Questa monografia sul Rosso Fiorentino, che sarà distribuita il prossimo anno, l’ho dedicata proprio a lui. Quando uscii dall’università, dove avevo studiato soprattutto i pittori del ’400, fu Berti a introdurmi e farmi approfondire lo studio del ’500, del primo ’500 in particolare.Considerata la carriera, saranno ovviamente numerosissimi i suoi contributi su riviste e periodici d’arte. Vorrei sapere però se, parallelamente, ha scritto anche articoli su quotidiani e se ha firmato molte monografie di grande diffusione come quella che mi ha appena mostrato.Sì, qualcuna ne ho scritta. Spero di continuare, visti gli impegni di ora. Sono orgoglioso anche e soprattutto dei “piccoli” libri, come quelli di iconologia, sacra di solito, pubblicati dal Centro Di (La Bibbia in bottega) o da Maschietto e Musolino (La piscina di Betsaida). Come anche la collana di piccoli saggi di storia dell’arte «I grani», curata da me per Polistampa: la prossima monografia sarà dedicata alla Dama con l’ermellino di Leonardo.Come vive il suo rapporto con la città?Per me ha sempre avuto molta importanza il rapporto con Firenze, che ovviamente considero l’altra mia città. Quando ho realizzato, al centro culturale Il Bisonte di Maria Luigia Guaita, le mostre L’eredità immeritata e L’eredità immeritata 2, la mia posizione fu subito sfruttata da una parte politica perché poteva sembrare critica nei confronti dell’amministrazione cittadina. Invece era autocritica nei confronti della città perché a Firenze c’è, trovo, un rapporto molto difficile soprattutto con la contemporaneità. Inoltre la pretesa che chi viene da fuori abbia rispetto della città non ha alcun senso, quando quello stesso rispetto manca da parte di noi fiorentini.Figlio d’arte, il padre vinse il Fiorino d’oro.
“Assistiamo a scempi dentro e fuori le mura…” Assistiamo impotenti e indifferenti a scempi dentro e fuori le mura: ripetitori e vari ecomostri, Piazza Signoria “ammattonata” come neanche un meccanico vorrebbe il pavimento davanti al suo uscio… mentre magari viene sollevato un polverone per cose vagliate in concorsi internazionali, come ad esempio tutta la polemica sulla loggia di Isozaki, a ulteriore dimostrazione che Firenze ha problemi con la contemporaneità. Ho un legame fortissimo con questa città: sono cresciuto al mare (che mi manca moltissimo, specie di inverno) ma ho rinunciatoa una più remunerativa cattedra universitaria da ordinario di Storia dell’Arte Moderna per restare qui. Fino a ieri ero direttore del Dipartimento della Pittura del Cinque e Seicento e dell’Arte Contemporanea degli Uffizi. Quando il Soprintendente Paolucci mi ha offerto la direzione della Galleria non ho esitato un momento!
Data recensione: 08/12/2006
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Antonio Pagliai