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“Lei che pure sofferse del fascismo: ma che tuttavia per la sua posizione mentale “liberale e rinunciataria”, collaborò (senza volerlo) alla nascita del fascismo del 1922 (...) avvalla il nuovo fascismo nel 1959”. Il sindaco

“Lei che pure sofferse del fascismo: ma che tuttavia per la sua posizione mentale “liberale e rinunciataria”, collaborò (senza volerlo) alla nascita del fascismo del 1922 (...) avvalla il nuovo fascismo nel 1959”. Il sindaco di Firenze Giorgio La Pira scrisse questo al senatore a vita don Luigi Sturzo il 3 marzo 1957. Sono parole forti d’ira, di stizza. “La lettera è inedita, forse non è mai stata pubblicata per la sua pesantezza”, spiega Letizia Pagliai autrice del libro Per il bene comune. Poteri pubblici ed economia nel pensiero di Giorgio La Pira, pubblicato da Polistampa dove la lettera compare per la prima volta. “Per capire questa reazione, spropositata per certi versi, del sindaco di Firenze bisogna conoscere bene lo scontro tra i due – chiarisce Pagliai – due grandi personalità del mondo cattolico italiano avevano due opposte concezioni di politica economica”. Gli anni Cinquanta erano tempi di crisi economica, a Firenze le più grandi aziende erano in difficoltà come la Galileo. Giorgio La Pira sosteneva la necessità dell’intervento dello Stato per aiutare l’economia. Un intervento simile al New Deal roosveltiano [sic] o come quello di Bush, di più recente memoria per salvare le grandi banche americane. La Pira, come Fanfani in parlamento sosteneva uno “statalismo” di “natura cristiana”. Un interventismo che a don Sturzo ricordava quello del ventennio: per lui un atteggiamento del genere avrebbe discusso la ricchezza: per risolvere la crisi serviva solo l’iniziativa degli imprenditori. “Il sacerdote che aveva fondato il Partito Popolare, non aveva saputo, o potuto opporsi al fascismo – spiega Pagliai – forse a lui restava un senso di colpa. La Pira lo attacca proprio qui: nel suo aver rinunciato a lottare. Ma è probabile che se fosse rimasto sarebbe stato ucciso. Invece andò in esilio nel ‘24 e quando fece ritorno in Italia nel ‘46 era un monumento nazionale. Non a caso fu nominato senatore a vita”.In un tempo in cui mancava qualsiasi forma di ammortizzatore sociale La Pira credeva che su impulso della “dottrina sociale della Chiesa”, fosse necessario che lo Stato si prendesse in carico la difesa dei più deboli. Scrive a don Sturzo: “Come vede il problema è di fondo, il dissidio tra noi è radicale: non concerne la volontà, concerne gli intelletti nostri che sono orientati in modo opposto: lei è un liberale, io no!”. In quegli anni il sindaco di Firenze si impegna con i sindacati nelle trattative, arriva a sollecitare l’iniziativa del Partito Comunista di Togliatti in difesa: “dei disoccupati, dei sottoccupati, dei miseri che ormai da molti anni gettano tanta dolorosa ombra sul volto del nostro paese: un volto che, per via di queste ombre dolorose, cristiano certamente non è”, scrive nella lettera ad Angelo Costa il 23 novembre 1953. Il volume della studiosa fiorentina nasce da un’accurata ricerca condotta nell’archivio della fondazione La Pira e dagli atti ufficiali dell’archivio del gabinetto del Sindaco. Una raccolta di 38 documenti , tra lettere inedite e articoli, in cui lo statista si confronta con varie personalità “come – rammenta la Pagliai – Federico Caffé, grande economista di stampo keynesiano, consigliere della rivista «Cronache sociali», che a sorpresa si trova d’accordo con lui”.
Data recensione: 13/02/2009
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Lisa Baracchi