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“Carissimo Paolo come mi è dispiaciuto il modo del nostro distacco. Siamo stati due stupidi. Adesso anche tu te ne sei ito, e il vuoto è aumentato un bel po’...”. Le parole, che nascondono un saluto affrettato ed esprimono

“Carissimo Paolo come mi è dispiaciuto il modo del nostro distacco. Siamo stati due stupidi. Adesso anche tu te ne sei ito, e il vuoto è aumentato un bel po’...”. Le parole, che nascondono un saluto affrettato ed esprimono una mancanza affettiva risalgono al 1956 e sono indirizzate a Paolo Volponi. Il mittente è Pier Paolo Pasolini. La carta utilizzata è quella comune. La calligrafia è rapida, a tratti di difficile lettura, sembra quasi che risenta dei movimenti interni dello scrittore. Tutto traduce la familiarità tra il mittente il destinatario che si aprono l’uno all’altro, senza i freni della letteratura e della poesia. Volponi parla di se stesso e della sua vita fatta di fragilità, dolori e divertimenti. Questa, come le altre epistole, testimonia l’amicizia fraterna, prima ancora che intellettuale e letteraria,di due uomini. Da qui il titolo del libro che è anche l’inizio di una lettera che Volponi ha scritto a Pasolini nel 1972, “Scrivo a te come guardandomi allo specchio...” edito da Polistampa e in libreria dal 16 gennaio. Due poeti, scrittori, intellettuali che sentono il bisogno l’uno dell’altro, come della propria immagine. Il libro riporta le ottanta lettere che Volponi scrisse per circa vent’anni a Pasolini: un cimelio che svela il legame profondo di due personalità impregnate del loro tempo. Le ventotto lettere pasoliniane non sono presenti nel libro. Sei furono pubblicate nel 1986, per Einaudi, in Pier Paolo Paolini, Lettere 1955-1975 a cura di Nico Naldini. Le altre, di proprietà della famiglia Volponi, sono ancora inedite. Il rapporto epistolare tra i due iniziò nel 1956 quando Volponi lasciò Roma, per trasferirsi ad Ivrea e diventare direttore dei servizi sociali della Olivetti. L’esperienza di vita a fianco di Adriano Olivetti emerge dalle lettere in tutta la sua complessità. Ad Ivrea, come ha detto il filosofo e critico letterario Raffaeli, Volponi vive l’ambivalenza di essere grande manager e intellettuale allo stesso tempo. La lontananza da Roma e dall’ambiente letterario è dolorosa e le epistole diventano una sorta di cordone ombelicale con gli ambienti culturali di quella città. Continuo è il richiamo e il saluto agli amici romani “...Salutami Bassani, Bertolucci, Caproni, Citati e riverisci Gadda, Penna e la Morante”. A volte il desiderio di tornare diventa uno sfogo momentaneo, come disse Volponi stesso, “...Lascio questo luogo e il mio lavoro, contrari e difficili. A Roma ritroverò amicizie, ozi, te e ogni tanto rivedrò importanti letterati...”. Il lavoro alla Olivetti, però, gli permette di introdurre elementi nuovi e originali nella letteratura e nella poesia italiane, a cui era ancora sconosciuto il complicato mondo della fabbrica e degli operai.
Volponi sente il continuo bisogni di essere apprezzato, di avere consigli e opinioni sui suoi scritti da parte del poeta friulano. Questo perché, come dice Raffaeli, Pasolini lo aiutato a riconoscersi come poeta e scrittore. L’opinione e il consiglio dell’amico sono necessari al manager-scrittore e Paolini risponde spronandolo, suggerendo correzioni alle sue opere e mostrandogli la sua stima “...la tua poesia è molto bella, si legge di un fiato e con dolcissima commozione...”. Il rapporto sembra quello con un maestro, nota Raffaeli, ma diventa un’amicizia osmotica, di dialogo e confronto. E nel confronto si evidenziano anche le differenze di due personalità e letterati ormai formati e autonomi. È il caso di Corporale, romanzo che Volponi difese e pubblicò nonostante il giudizio negativo che ne aveva dato Pasolini.
Questo disaccordo creò una distanza tra i due scrittori: per quasi due anni non ci furono lettere. La corrispondenza riprese, ma un anno dopo il poeta che aveva cantato Le ceneri di Gramsci, moriva lasciando Petrolio. Un’opera che Raffaeli definisce di risposta a Corporale: Pasolini si rivolse all’amico urbinate per avere informazioni sulla struttura dell’ambiente operaio e manageriale e adottò una forma letteraria simile a quella volponiana di Corporale. Il carteggio si chiude nell’agosto del 1975: “...Io parto per Milano. Ti abbraccio sperando di rivederti presto...”. I due amici si rividero a Roma pochi giorni prima che Pasolini venisse ucciso. Anni dopo Volponi commentò l’omicidio dell’amico: la sua dura accusa e il suo libro Scritti dal margine erano rivolti “...verso l’insufficienza e l’ipocrisia della cultura dominante e verso l’antica, sacra sordità degli istituti anche repubblicani”.
Data recensione: 13/02/2009
Testata Giornalistica: Il Ducato
Autore: Giulia Torbidoni