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Scriveva nel 1813 da Parigi Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi a Louisa Stolberg contessa d’Albany: «aucune société d’hommes n’est égale pour moi à la société des femmes; c’est celle-là que je cherche avec ardeur».

Scriveva nel 1813 da Parigi Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi a Louisa Stolberg contessa d’Albany: «aucune société d’hommes n’est égale pour moi à la société des femmes; c’est celle-là que je cherche avec ardeur». Qual peso e significato quest’ultima rivestì nella vita privata e pubblica dello storico, economista e liberale cosmopolita, dagli anni del cercle di Coppet, ove s’incontravano «les états généraux de l’opinion européenne », a quelli della maturità trascorsi in prevalenza nella quiete della campagna di Chêne, emerge dalla ricchezza e varietà delle scritture muliebri che sono parte cospicua del suo epistolario. Delle 1.700 lettere vergate da mano femminile, pari quasi alla metà dell’epistolario sismondiano ora nella Sezione d’Archivio di Stato di Pescia, Maria Pia Casalena e Francesca Sofia hanno selezionato e regestato i nuclei più corposi, vale a dire quelli delle più assidue corrispondenti del ginevrino dalla fine dell’impero napoleonico sino agli inizi degli anni ’40 del XIX secolo. In questa raccolta sono inoltre pubblicate in versione integrale ventisette lettere inedite di Sismondi a Julia Garnett Pertz, rinvenute presso la Houghton Library dell’Harvard University di Cambridge, in una di quelle fortunate circostanze che rendono ancor più appassionante il lavoro di ricerca e il riordinamento di carteggi ed epistolari simile per molti versi alla ricomposizione delle tessere di un puzzle. Molti dei percorsi e dei piani di lettura offerti dal volume sono delineati con grande finezza nel saggio di Maria Pia Casalena che introduce alla prima sezione dei regesti. La fisionomia di genere è una delle caratteristiche che più immediatamente si colgono in queste corrispondenze, sempre oscillanti tra sfera privata e versante pubblico, in cui le multiformi espressioni della soggettività femminile nel rendere l’interlocutore partecipe di stati d’animo, di riflessioni, di pensieri, non soltanto rappresentarono per le scriventi un momento fondamentale della costruzione di sé, ma esercitarono anche una funzione attiva su Sismondi, in quanto «termine di confronto necessario per la definizione della sua identità di uomo e di studioso» (p. 9). Questi scambi epistolari consentono altresì di addentrarsi nelle fasi di mutamento delle élites femminili del primo ’800 e riflettono nel contempo altrettante sfaccettature della biografia del grande intellettuale, la cui relazione amichevole si modulava di volta in volta in fraterna e solidale confidenza o nella disponibilità ad offrire autorevoli consigli e una generosa protezione. Nelle lettere della contessa d’Albany, di madame de Bérenger, di Zoé de Dolomieu, di Victorine de Sainte-Aulaire e delle sue figlie, di Anastasie de Circourt, di Caroline Cornwallis, di Bianca Milesi Mojon si profilano identità femminili ora inclini a ripiegarsi nella sfera domestica e nel ruolo materno più ricco di affettività, ora invece protese a sperimentare nuovi approcci alla sfera pubblica individuando valori e temi come la questione sociale, l’istruzione popolare, il dibattito religioso, che preludevano a un modo diverso di intendere la politica. In entrambi i casi tuttavia, nella circolarità di un vivo desiderio di informazione e comunicazione, sia che filtrasse dalla scrittura più intima di donne ormai estranee a una vita pubblica di cui stentavano a comprendere il senso e l’orientamento, sia che trapelasse da più partecipi resoconti della vita in società o di esperienze di viaggio, si apriva a Sismondi un osservatorio privilegiato sulle vicende della Francia e dell’Europa intera, tra involuzioni reazionarie e timori di ricadute rivoluzionarie. Il «pantheon» di quelle presenze femminili fu costellato dunque di tipologie diverse, come quelle incarnate dalle sorelle Julia e Harriet Garnett, con cui egli intrattenne tra il ’26 e il ’40 una conversazione epistolare dalle molte sfumature, sulle quali si è soffermata la penetrante lettura di Francesca Sofia. Decisamente più aderente al tradizionale modello femminile dell’epoca, Julia fu destinataria di lettere pervase di un’amichevole tendresse, che il cher Sis, giunto ormai alle soglie della vecchiaia e immerso negli studi nel suo solitario ritiro di Chêne, riteneva di poterle liberamente manifestare. Più anticonformista fu invece Harriet, impegnata ad allacciare intensi legami intellettuali e solide amicizie, come quella con Fanny Wright, progressivamente dedita a un attivismo politico dai toni sempre più radicali e spesso evocata nelle lettere come «presenza ingombrante». Nonostante il suo fitto e intenso dialogo con molte epistolières, in taluni frangenti, e in particolare nella dichiarata ostilità nei confronti delle iniziative umanitarie intraprese dalla Wright nel continente americano, Sismondi fece comunque affiorare una sua misoginia latente, tanto da arrivare a sostenere l’«immense différence entre l’intelligence des hommes et celle des femmes» che sogliono subordinare la ragione all’immaginazione e al sentimento (pp. 273-274). In una della ultime lettere a Julia confessava di sentirsi parte «du vieux monde» e «étranger au monde qui se renouvelle»: in questo contesto, nelle contraddizioni del passaggio dal vecchio al nuovo ordine del secolo borghese, è necessario inquadrare la sua complessiva visione del genere. A Sismondi, «chagriné de la folie et de la méchanceté des hommes en masse», nella «crisi irrimediabile di quella società rarefatta di individui, che aveva dato il meglio di sé nel castello di Coppet» (p. 223), sembrava profilarsi una inquietante deriva verso il sovvertimento, nella società, del rapporto tra l’entusiasmo, attributo del polo femminile, e la razionalità. Dunque, per quelle donne, sue ricercate interlocutrici, sospese all’epoca «tra esclusione e coinvolgimento, tra passività e partecipazione» (p. 60) non poteva che prospettarsi, in un’ottica conciliante, «una partecipazione subordinata sulla scena pubblica» (p. 222). Nella sequenza di queste pagine, corredate da un esaustivo apparato critico, riemerge davvero, da un coro di voci su uno sfondo affollato di personaggi e di avvenimenti, la «biografia di un’epoca», sebbene l’analitica ricchezza dei regesti induca talora a rimpiangere di non potersi accostare immediatamente all’intero testo epistolare.
Data recensione: 01/01/2009
Testata Giornalistica: Il mestiere di storico
Autore: Maria Luisa Betri