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«Bright lights, Big city», cantava Ry Cooder, fine menestrello degli spazi Usa, arrivando nelle grandi città di notte. Rubiamo a Jay McInerney, l’autore de «Le mille luci di New York» questa citazione e un motto

«Bright lights, Big city», cantava Ry Cooder, fine menestrello degli spazi Usa, arrivando nelle grandi città di notte. Rubiamo a Jay McInerney, l’autore de «Le mille luci di New York» questa citazione e un motto dei Talking Heads: «I fatti dipendono dal punto di vista. Se non fai attenzione ti portano fuori pista». Qual è il punto di vista di uno che per vocazione professionale dovrebbe prendersi cura della città e, in modo più largo, dello spazio costruito? Il centro della Toscana, Firenze, vive da anni la sua tensione espansiva verso nord-ovest, più genericamente verso quella che viene chiamata la Piana, a partire dalla zona di Novoli. Ecco il punto di vista dell’architetto Francesco Gurrieri. Per lui la «variante urbanistica» ha stravolto l’area di Novoli: prima quella era un’isola di verde, ma «dopo la grande redditizia operazione che smantellò le Officine Galileo, verso Careggi», questo di Novoli è «il secondo evento più alterativo e irreversibile della città» e rivela l’assenza di rispetto «per l’umiltà insediativa», sacrificata sull’altare di «un annunciato e presunto miglioramento». Gurrieri sviluppa questo e altri temi in trenta «Nuovi frammenti narrativi», editi da Polistampa, maturati sul senso dello spazio e del tempo, dimensioni su cui si affina, o dovrebbe affinarsi, la sensibilità di un architetto. Gurrieri è un restauratore di queste due dimensioni e ha recuperato alla vita del presente il Castello dell’Imperatore a Prato, il Castello di Castruccio a Serravalle Pistoiese e quello dell’Acciaiolo a Scandicci. Queste trenta illuminazioni accompagnate dai disegni di Roberto Maestro e consegnate allo spazio breve del frammento, sono tra l’altro «abitate» da luoghi (dalle Twin Towers alla Torre Eiffel), persone (Luzi, Cacciari, Givone, il padre) e da piccole e grandi cronache (dall’11 settembre al senso vivibile di un Ferragosto) su cui si appunta l’attenzione e la memoria dell’autore. Lo spazio della città è quello sui si posano anche gli occhi di Domenico Guarino, giornalista e scrittore, con sei racconti che cercano di scalfire la superficie dei rapporti tra uomo e donna nella città, e due sull’emergenza abitativa (cronistoria di un’occupazione di un vecchio istituto dismesso) e sul rigetto della guerra. I testi sono raccolti in «Di domenica si può anche morire» (ed. Polistampa), esordio narrativo di questo cronista radiofonico. Due le sezioni del libro: sei racconti raccolti in «Morsi» e gli altri due, «Una casa grande come un sogno» e «Il mio nome è mai più» (vincitore del premio Terzani 2007), in «Altri racconti». C’è fame di autenticità in Guarino: «Firenze – osserva – al centro, è un posto dove il popolo e la finzione sono faccia a faccia di continuo. Dove la verità la devi cercare tra le righe e non puoi permetterti di avere dubbi perché costano troppo».
Data recensione: 13/03/2009
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Michele Brancale