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Nella «città ideale» che Adriano Olivetti a lungo sognò e in parte realizzò nei suoi stabilimenti di Ivrea. Coinvolse intellettuali di prestigio con responsabilità specifiche in un progetto di umanesimo tecnologico che

Nella «città ideale» che Adriano Olivetti a lungo sognò e in parte realizzò nei suoi stabilimenti di Ivrea. Coinvolse intellettuali di prestigio con responsabilità specifiche in un progetto di umanesimo tecnologico che raggiunse l’apice negli anni ’50, ma era partito in epoca fascista, come si documenta ora, in Civitas hominum. Scritti di urbanistica e di industria 1933-1943 di Olivetti, a cura di Giuseppe Lupo (Aragno, pag 180, euro 12). Vissero quel clima di utopia comunitaria Fortini, Ottieri, Pampaloni e molti altri, tra i quali Paolo Volponi, poco più che trentenne quando, a metà dei ’50, venne assunto a Ivrea per rimanervi fino al ’71. Le lettere a Pasolini (Scrivo a te come guardandomi allo specchio, curate da Daniele Fioretti per Polistampa, pagg. 214, euro 18) per massima parte le spedisce appunto ad Ivrea; ma diversamente da altri «olivettani», di lassù il giovane Paolo «sogna infantilmente Urbino», patisce Ivrea come un «posto d’inferno». All’amico Pier Paolo invidia Roma e le frequentazioni letterarie, oltre alla capacità di amare con gioia. Pasolini va allargando la sua voracità sperimentale e Volponi lo segue con ammirazione costante. Gli dà in lettura poemetti nei quali irrobustisce una vena espressiva destinata poi ad affermarsi in una serie di romanzi ( Memoriale, il primo, s’ispira proprio al mondo d’Ivrea) che imporranno Volponi fra i narratori di rango del secondo Novecento. Egli riconosce che sono state la «scuola» e l’«amicizia» di Pasolini a maturarlo enormemente, rispetto a quel Volponi di ieri, l’«urbanate», che adesso (1946) non esiste più.
Data recensione: 03/05/2009
Testata Giornalistica: Il Giornale
Autore: Silvio Ramat