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Il Palasport di Firenze, il Mandelaforum, doveva portare un altro nome (“per me sarà sempre Palagoggioli dice pubblicamente l’assessore Eugenio Giani”). Giordano Goggioli: con tutto il rispetto possibile non si capisce

A dieci anni dalla scomparsa un libro sul personaggio che doveva dare il nome al Palasport Il Palasport di Firenze, il Mandelaforum, doveva portare un altro nome (“per me sarà sempre Palagoggioli dice pubblicamente l’assessore Eugenio Giani”). Giordano Goggioli: con tutto il rispetto possibile non si capisce cosa c’entri Nelson Mandela. Sarà, come disse Gesù Cristo, che “nemo propheta in patria” e Firenze è famosa per essere una città matrigna che non ha mai tenuto in grande considerazione i suoi figli. In realtà un gruppo di amici di Goggioli, impegnati in cariche pubbliche, ci aveva anche provato, poco dopo la sua scomparsa, l’estate di dieci anni fa. In Comune era già pronta la delibera. Mancò, inspiegabilmente, la firma finale. Giordano Goggioli è stato un uomo speciale, dalle cento vite. Campione di nuoto e pallanuoto con una collezione di scudetti, giornalista con idee d’avanguardia, caposcuola di un gruppo di giovani cronisti sportivi che hanno fatto strada, mentore segreto della prima Fiorentina campione d’Italia, sostenitore dell’utopia delle Olimpiadi a Firenze dopo la tragedia dell’alluvione, presidente regionale del Coni. Ci ha lasciati troppo presto: aveva 73 anni e ancora il piglio di un giovanotto. Oggi, a dieci anni dalla scomparsa, su di lui hanno scritto un libro che quando è stato presentato, un mese fa, ha raccolto nell’auditorium della “Nazione” – il suo giornale – un centinaio di estimatori, collaboratori, colleghi, discepoli, ex calciatori, ex presidenti della Fiorentina, amici e autorevoli personalità, dall’onorevole Pescante a Paolo Ignesti, presidente provinciale del Coni. Il libro è stato scritto per le edizioni Polistampa di Mauro Pagliai da due colleghi che non sono scelti a caso: sono infatti i testimoni agli estremi della sua parabola professionale. Uno è Raffaello Paloscia che quando era alle prime armi, negli anni Cinquanta, fu avviato da Goggioli alle cronache calcistiche; l’altro è Massimo Sandrelli che negli anni Settanta lo intrigò con la televisione facendogli da spalla in un non dimenticato “talk show”. Una trasmissione che anticipava in modi urbani e competenti, a due voci, con il sorriso sulle labbra, certe dispute rissaiole dei nostri esagitati giorni. Sfogliare questo libro, ricco di immagini anche rare, è come ripercorrere mezzo secolo negli stadi, nelle piste, nelle palestre, nei palasport. Goggioli era nato in un rione che sembrava lo predestinasse, alla Colonna (oggi Gavinana) e a dieci anni era già un campioncino nella vicina Rari dove in futuro avrebbe gareggiato con i campioni del Settebello. Una volta chiusa in un cassetto la calottina e allineati i trofei in bacheca, sposata la bella Grete, tuffatrice istriana (gli darà due figlie, Silvia e Paola), spunta il Goggioli giornalista, prima alla “Patria” poi alla “Nazione”. Lo troviamo al fianco di personaggi che hanno fatto la storia dello sport cittadino. Eccolo con Enrico Befani, che lui stesso aveva praticamente accompagnato alla presidenza della Fiorentina campione d’Italia, con Luigi Ridolfi che volle il centro di Coverciano, con Dante Berretti detto “il Granduca”, con Artemio Franchi, il più grande tra i dirigenti calcistici cresciuti a queste latitudini. Una lunga storia con lampi folgoranti. Negli anni Cinquanta, giornalista vicino alla quarantina ebbe una grande intuizione professionale inventando alla “Nazione” il supplemento sportivo del lunedì che portò la vecchia rotativa di via Ricasoli a moltiplicare le tirature del quotidiano. Nel decennio successivo, poi, quando Firenze fu sconvolta dalla tragedia dell’alluvione, lanciò un’idea sensazionale per aiutare la città a risollevarsi: le Olimpiadi del 1976 facciamole qui. Era un’utopia e Giordano, che in redazione c h i a m a v a n o Gordon per la mole simile all’eroe dei fumetti, lo sapeva benissimo ma sapeva anche che l’idea di quella colossale iniziativa avrebbe mantenuto accesi i riflettori di tutto il mondo sulla città e magari portato qualcosa di utile per la rinascita dello sport cittadino. Quando il sogno tramontò, Goggioli non dimenticò i Giochi e ingaggiò una sanguigna polemica perché la loro essenza fosse salva. “Occorre – scriveva da Città del Messico – ricondurre le Olimpiadi a una misura umana senza la quale il magnifico sogno del barone De Cobertin si tramuterà in amara beffa per tutti e per gli sportivi in particolare attraverso il problema sempre più acuto del dilettantismo”. Una dozzina di anni più tardi, mentre si disputavano i Giochi di Mosca, eccolo dirigente di vertice, presidente del Coni toscano, carica che mantenne fino a poco prima di dirci addio. Per chi scrive l’ultima immagine di Gordon sembra avere, nella sua semplicità, un significato simbolico. Era un pomeriggio di imminente primavera e lui stava fermo sul marciapiede di via Martelli, sfiorato da frotte di turisti e di fiorentini che ignoravano chi fosse. Aspettava un taxi. Aveva appena ricevuto la medaglia d’oro che ogni anno l’Ordine dei Giornalisti consegna a chi ha un’anzianità professionale di mezzo secolo. Aveva un’aria assorta, per lui insolita, chissà quali pensieri inseguiva. A poche decine di metri, in via Ricasoli, cinquant’anni prima aveva vissuto un periodo memorabile della sua carriera. Prima che alla “Nazione” (questa è una storia che sanno in pochi ma che ha come testimone diretto chi scrive) lavorava non in un ufficio di lusso ma in una sorta di bunker che ospitava la redazione fiorentina del “Corriere dello Sport”. Era a pochi metri dall’imponente portone del palazzo dei giornali (a Firenze ne uscivano tre). La chiamavano “la botteghina” o più propriamente “la buca”. Una porticina mimetizzata nel muro si apriva su una ripida scala che introduceva in un locale più simile a una grotta che a una cantina. Qui Goggioli dominava dietro una scrivania circondato da un paio di uomini di fiducia e da alcuni “giovanottini” come li chiamava lui che la domenica partivano per Signa e Prato, Empoli e Campi Bisenzio, Pistoia e Poggibonsi per scrivere i primi articoli della loro vita, sulle partite di un calcio minore. Alcuni sarebbero diventati firme di prestigio e dagli stadioli di campagna un giorno si sarebbero trovati a Wembley o al Bernabeu: se viene perdonata la piccola esagerazione quella piccola fucina di giornalismo, dominata dal vocione di Gordon potrebbe ricordare le antiche botteghe di artigiani e pittori che pullulavano a Firenze secoli fa.
Data recensione: 05/03/2009
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Sergio Di Battista