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Ne La fontana d’acciaio (prefazione di Isaac Goldenberg, Firenze, Polistampa, 2007, € 8), Michele Brancale offre ad un lettore che chieda alla raccolta di poesie d’essergli affidabile compagna di un’ora piacevole

Ne La fontana d’acciaio (prefazione di Isaac Goldenberg, Firenze, Polistampa, 2007, €  8), Michele Brancale offre ad un lettore che chieda alla raccolta di poesie d’essergli affidabile compagna di un’ora piacevole per un’occasione di conoscenza molto simile all’esperienza tipica della conversazione con un amico caro, la prova tangibile di questo incontro possibile e per i tempi correnti, a ben vedere, felice ossia toccato dalla fortuna nel senso vero della parola e che farà bene, nel tempo, ricordare.La pregevole silloge di liriche che piace qui segnalare a titolo di buona lettura, prende il nome da un vivido ricordo dell’autore quando, da ragazzo, in terra di Basilicata dov’è nato poco più di quarant’anni fa, rimase colpito dalla semplice ma incisiva forza d’incantamento suscitata in lui da una fontana di paese che veniva chiamata appunto la fontana d’azzaro (la fontana d’acciaio), credendo peraltro di trovarsi di fronte a un personaggio favoloso, Azzaro, creato dalla fantasia dell’allora bambino e creduto perciò una sorta di eroe con una storia vera da tramandare alla memoria. La prima sezione del libro ha per titolo Dalla stanza e introduce chi legge con amabilità mai banale all’interno del laboratorio del poeta stesso: l’autore ha arato il materiale linguistico con gli strumenti tecnici del mestiere, mostrando di muoversi assai bene sulla scorta di manuali di versificazione come quello classico di Elwert. Si entra così, con graduale agilità, nel mondo personale del poeta, a partire dall’interno della sua sfera interiore e dello spazio in cui opera. Immaginiamo di scoprire passo dopo passo le sembianze visibili oltreché la geografia interiore del suo studio, nella casa dove egli stesso vive. Nella prima sezione, Dalla stanza, composta da trentaquattro liriche, chi scrive si misura con un pacato senso costruttivo (che ancora fa piacere ritrovare davanti ai nostri occhi) nel rapporto fra se stesso, le cose e l’ambiente che tutto d’intorno gli parla. Quello che Michele Brancale mette in tal modo in scena è il paesaggio dell’anima che si nutre, a seconda delle circostanze sempre variate in cui si esprime, ora del mondo domestico: (7) Colleziono giochi sulla scrivania, / lavorati con cura d’artigiano, / conservati bene, come una manìa / leggera e necessaria. Non è strano / affidarsi anche per un poco alla via / del gioco, ancora imparare, piano / la fantasia di oggetti da guardare, / che non parlano ma sanno parlare. E ancora: (21) […]  Sembrano parlare le fotografie / da dentro il cassetto della scrivania, / all’angoliera, a svelare – restìe – le verità del tempo: una manìa / che ricompone del passato le vie, / ricostruisce dei cari la genìa, / fa teoria degli incontri. La sorpresa / è nascosta negli altri, inattesa. Ora si narra della pace ricca di energia affettiva suscitata dallo sguardo sul paesaggio che muove, contemporaneamente, alla ricerca del rapporto umano, del legame con coloro che amiamo e grazie ai quali la nostra vita si sostiene più certa: (8) Perché si affida al sostegno del muro? Poi si lascia ad immagini di un fiume, / allo scorrere dell’acqua, al futuro / di un’altra compagnia. Accende il lume / sulla sete di affetti, perché scuro / è il tempo della paura che assume / la forma di rami secchi / di foglie. / Il germoglio cambia parere, accoglie. E inoltre: (25): Il sole batte a quest’ora più forte / svegliando dal riposo gli occhi chiusi, / dall’esterno chiamando ad altra sorte, / ad altro respiro. I raggi, intrusi, / percorrono tutto e portano a corte / l’invito a uscire ancora.  Per delusi / si danno i dubbi, confinati a parte, / un resto da archiviare tra le carte. Lo affermo con grande chiarezza e con vero piacere: amo e apprezzo la poesia di Michele Brancale proprio perché esprime una visione aperta, solidale e fiduciosa nel vivere civile e individuale.Non s’indulge mai, per fortuna, al ripiegamento nichilistico – così sgradevole e diffuso nella poesia dei “poeti laureati” nostri contemporanei – nei versi davvero costruttivi del poeta Michele Brancale: c’è tutto intero, invece, ancora il desiderio di sperimentare un’avventura umana fatta d’incontri genuini, di solidarietà concreta, di fantasia originale e di lavoro onesto: (30) […] Cerco il nido, / il grano, cibo, l’apertura alare, / in quanti sanno – a loro mi affido - / la strada e possono, senza bussare, / aprire la porta per sorridere, / uscire, il pericolo elidere. Ed ancora: (31) Quella mattina mi aprirà la strada / una voce, un invito a varcare / la soglia del vuoto in modo che accada / un volo senza ali, un camminare / sull’acqua, leggero ovunque tu vada, / senza essere soli. A dissipare / la coltre basterà una voce: elusa / la sorveglianza della stanza chiusa. Ed infine: (34) […] Nella stanza, raggiunto dalla chiusura del cerchio, d’estate, sentì bruciare il dolore raccolto. / Lì l’anima aveva cambiato volto.
Mi piace pensare che la poesia lirica per Michele Brancale sia un canale di comunicazione per venire a contatto con quei “felici pochi” – avrebbe detto Carlo Betocchi – che danno credito alla poesia e l’ascoltano per quel che può restituire, a tutti, come riflesso cristallino del sentire, e spesso anche del capire qual è e dove si trovi (se ancora c’è e batte) un cuore del mondo fatto su misura degli esseri umani, nell’infinita varietà dei tipi di cui sappiamo gli stessi esseri umani essere capaci. ”Felici pochi”, si è detto, e aggiungiamo noi qui oggi - non per gusto di affermare il contrario, ma perché crediamo nell’utilità di questo messaggio su cui ci sentiamo di puntare – quei felici molti che ancora credono nella valenza comunicativa del prodotto culturale. Chi infatti come Michele Brancale lo elabora, consapevole della sua responsabilità e capacità di relazione, non si limita a specchiarsi nel lago di Narciso, bensì tenta di creare un ponte per mezzo del quale viene naturalmente a contatto con l’altro da sé e crea uno scambio che lascia per quanto piccola una traccia: mettersi nei panni degli altri senza perdere i propri, e da qui ripartire ogni giorno sulla strada del conoscere, dello sperimentare, del porsi in sintonia, serenamente “in gioco”. “La fontana d’acciao”, dove il lettore trova ben cinque sezioni di liriche tutte da scoprire (il numero tra parentesi indica i testi per sezione): Dalla stanza (34), La fontana di Azzàro (24), All’esistente-inesistente (13), Ritorno a casa (1) e Arrivederci (1) fa pensare in fondo, a partire dal titolo, ad un altro simbolo parlante ossia a una metafora che volentieri propongo in chiusura: la fonte dell’ispirazione per il poeta Michele Brancale è fatta di un metallo così solido da riuscire a produrre frutto e durare a lungo nel tempo.
Data recensione: 01/04/2008
Testata Giornalistica: Il Portolano
Autore: Elena Gurrieri