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Il congresso di Vienna decise lo smantellamento del Musée Napoleon e la restituzione ai Paesi di origine delle opere d’arte deportate da Napoleone. Fu una deliberazione di grande e provvidenziale importanza quella

Il congresso di Vienna decise lo smantellamento del Musée Napoleon e la restituzione ai Paesi di origine delle opere d’arte deportate da Napoleone. Fu una deliberazione di grande e provvidenziale importanza quella assunta dai plenipotenziari europei. Per la prima volta entrava nel diritto internazionale il principio che i beni culturali di una nazione non possano mai essere oggetto di acquisizione bellica o di risarcimento. Eppure la decisione di restituire ai Paesi occupati le opere d’arte depredate non avvenne senza contrasti e fu più il risultato di un compromesso politico reso necessario dal bilanciamento delle forze in campo che di una presa di coscienza a tutti chiara e da tutti condivisa. Come andarono le cose ce lo spiega Gabriele Paolini nel libro Simulacri spiranti, imagin vive. Il recupero delle opere d’arte toscana nel 1815 (Firenze, Polistampa, pagg. 210, euro 16,00) che parla del rientro a Firenze dei tesori d’arte portati via dagli Uffizi e da Palazzo Pitti. Il trattato di pace firmato con la Francia il 30 maggio del 1814 non prevedeva alcuna restituzione. Furono “i cento giorni” e Waterloo ad aprire la questione. C’erano ragioni di opportunità politica. Nessuno voleva umiliare oltre misura la Francia sconfitta. Meno di tutti lo voleva lo Zar Alessandro che aveva bisogno di un affidabile amico a Parigi per bilanciare il peso di Vienna e di Berlino. Il cancelliere Metternich mediava al tavolo dei plenipotenziari negoziando rettifiche territoriali, indennità di guerra, numero e durata della forza di occupazione, mentre il suo collega Talleyrand cercava di sfruttare ogni occasione e guadagnare ogni minimo vantaggio per il Paese che aveva servito con l’Antico Regime, con la Rivoluzione, con Napoleone e ora con la Restaurazione. A decidere in favore delle restituzioni fu l’Inghilterra, la vera vincitrice di Bonaparte. Lo fece non solo e non tanto per le pressioni della sua opinione pubblica ma per un calcolo politico molto concreto. Insieme all’Italia i paesi che più avevano sofferto delle requisizioni napoleoniche erano stati gli attuali Belgio e Olanda. Secondo i disegni di Londra un grande regno dei Paesi Bassi sarebbe stato l’antemurale più efficace per scoraggiare un futuro espansionismo francese. La restituzione delle opere d’arte alle città belghe e fiamminghe (e quindi per necessaria conseguenza agli Stati italiani) era un passo necessario per cementare l’alleanza e dare efficacia al progetto. L’opzione inglese risultò decisiva. Il 19 settembre 1815 Metternich convocava il rappresentante di Toscana presso la corte di Luigi XVIII per comunicargli la buona notizia. Il permesso era stato accordato. I “tecnici”inviati da Firenze (si trattava del pittore Pietro Benvenuti e del direttore degli Uffizi Giovanni degli Alessandri) potevano cominciare a imballare le opere e a preparare il convoglio. Per i due italiani l’estate del ’15 a Parigi era stata da cardiopalma. Quanti patemi d’animo, quante notizie contrastanti nell’alternarsi continuo di delusioni e di speranze, quanti sgradevoli e imbarazzzanti incontri con i francesi che non volevano mollare le opere! ... «Monsieur l’emballeur»: Talleyrand chiamava in questo modo, con fredda ironia e malcelato disprezzo, il grande Antonio Canova, lo scultore più famoso del mondo, anche lui a Parigi per recuperare i capolavori dei musei Vaticani. Finalmente il grande convoglio carico di tutte le opere d’arte italiane lasciò Parigi il 24 ottobre scortato da reparti di cavalleria. Il segmento toscano arrivò a Firenze il 27 dicembre. Immagino il sollievo e l’orgoglio dei nostri colleghi di allora, Pietro Benvenuti e Giovanni degli Alessandri, quando aprirono le centodieci casse per constatare lo stato di conservazione delle opere. Per concludere, una piccola nota di toscana parsimonia e di ammirevole etica amministrativa. Appena tornati a Firenze da Parigi la prima cosa che fecero i commissari Benvenuti e degli Alessandri fu di presentare alla tesoreria granducale il rendiconto delle spese sostenute. In 51 giorni di missione parigina avevano speso sensibilmente meno dell’accredito che eera stato loro autorizzato e quindi restituirono il di più fino all’ultimo centesimo.
Data recensione: 07/12/2008
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Antonio Paolucci