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Nell’anno in cui ricorre il centoventesimo anniversario della nascita di Giuseppe Ungaretti, avvenuta ad Alessandria d’Egitto il 10 febbraio 1888, si sta svolgendo una serie di interessanti iniziative tese a

Vengono raccolte le lettere che Giuseppe Ungaretti e Piero Bigongiari si scambiarono dal 1942 al 1970 e che testimoniano di un rapporto di stima e collaborazione sfociato in importanti contributi editoriali Nell’anno in cui ricorre il centoventesimo anniversario della nascita di Giuseppe Ungaretti, avvenuta ad Alessandria d’Egitto il 10 febbraio 1888, si sta svolgendo una serie di interessanti iniziative tese a commemorare la figura di quello che è considerato, con Eugenio Montale, il più rappresentativo poeta italiano del Novecento.In attesa di leggere l’annunciato Meridiano che raccoglierà, in una nuova edizione critica, tutte le sue poesie, ci è gradito segnalare la pubblicazione dell’importante carteggio con il poeta e critico pistoiese Piero Bigongiari che le Edizioni Polistampa presentano con il titolo “La certezza della poesia”. Lettere 1942-1970 (2008,pagg.368,euro 24,00).Il libro, curato da Teresa Spignoli, raccoglie un congruo numero di lettere e testimoni del rapporto di stima e affetto reciproci instauratosi tra il maestro riconosciuto e l’allievo più giovane, figura di punta dell’ermetismo fiorentino. Tale rapporto sfocerà in importanti contributi come la stesura del saggio di Bigongiari Sugli autografi del “Monologhetto”, accolto nella silloge ungarettiana Un grido e paesaggi, edita originariamente da Schwarz nel 1952 e successivamente ristampata nella collana mondadoriana de “Lo Specchio” nel 1954. Alcune di queste lettere testimoniano il livello di acribìa critica di Bigongiari che, pur essendo in possesso dei manoscritti originali attestanti le varie stesure del poemetto, apparso in un numero della rivista Paragone nel 1952, si sofferma a chiedere ulteriori informazioni e conferme all’autore dello stesso. Da una prima tessitura prosastica il Monologhetto approda infatti a un’atipica versione poetica che, per la sua forma franta e sincopata, si discosta notevolmente rispetto agli usuali stilemi ungarettiani.Numerose sono inoltre le sollecitazioni riguardanti la comune passione per l’opera di Leopardi, documentata dalla pubblicazione del saggio ungarettiano Secondo discorso su Leopardi, sempre su Paragone, di cui Bigongiari era redattore. Molto interessante è il parallelo istituito da Ungaretti tra alcuni passi dell’Infinito e l’opera di Pascal. Sarà Giovanni Macchia a rilevare che il frammento pascaliano “Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie”, modello, secondo Ungaretti, per alcuni celebri versi dell’Infinito, in realtà non poteva essere conosciuto da Leopardi. E le argomentazioni ungarettiane non sembrano convincere nemmeno il suo corrispondente che, a sua volta, dedicò al poeta di Recanati importanti contributi critici. In una lettera Ungaretti scrive: “È il Barocco il segno del cataclisma che è in noi, la nostra disperazione, non il nostro amore”. Ora questo rapporto viene sapientemente analizzato da Daniela Baroncini nel saggio Ungaretti barocco (Carocci, 2008, pagg. 208, euro 19,30), teso a mettere in luce la presenza di temi secenteschi nell’opera del poeta: si pensi, ad esempio, ai motivi ricorrenti della morte e del nulla, del deserto e dell’estate intrecciati in una sorta di percorso che, non a caso, si misurerà in mirabili traduzioni dei sonetti di Gòngora.
Data recensione: 01/12/2008
Testata Giornalistica: Letture
Autore: Pasquale Di Palmo