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Nel 2003 era stata invece la Polistampa ad aver pubblicato i suoi scritti sull’arte in un testo intitolato I sogni dell’

[...] Nel 2003 era stata invece la Polistampa ad aver pubblicato i suoi scritti sull’arte in un testo intitolato I sogni dell’orologiaio. Non è finita qui, per fortuna: oltre al libro de Le Lettere, impreziosito da interventi di Pane, Cortellessa, Ajello, Catalano e Alessandro Fo, è in uscita per Mesogea una raccolta di interviste dell’autore di Praga Magica risalenti al ventennio 1957-1977.
Nessuna scusa, allora: ecco che il continente-Ripellino, un territorio vasto e multiforme, semisommerso fino a poco tempo fa, popolato da un’iridescente molte di poesie, racconti, saggi di slavistica, scritti brevi d’arte, letteratura e teatro, è ora quasi del tutto esplorato e cartografato. Non resta altro al lettore-viaggiatore che perlustrarlo in lungo e in largo, leggendo il corpus di un autore che odiava soprattutto l’incasellamento, la definizione rigormortis da lettino da contenzione, la collocazione devitalizzante. C’è una bellissima prosa autoesegetica, intitolata programmaticamente Congedo che, oltre ad essere un perfetto essai del suo stile incomparabile, spiega con fierezza i motivi di questa sua caparbietà quasi donchisciottesca, che lo induceva a ribellarsi contro una certa maniera di concepire non solo l’arte ma, a ben vedere, anche la vita: “Noi viviamo dentro caselle da cui gli altri non ci permettono di uscire. Noi siamo solo l’immagine che gli altri hanno costruito di noi. Per anni ed anni ho scritto e stracciato poesie, vergognandomi di scriverne. Il mio mestiere di slavista, la mia etichetta depositata mi relegarono sempre in una precisa dimensione, in un ranch, da cui m’era rigorosamente vietato di evadere. [...] non c’era posto per le mie metafore, tassate di barocchismo. [...] Tutto appariva sbagliato in quello che avevo scritto (e che stavo per lacerare): la mia ansia di immettere nel tessuto dei versi le consuetudini della pittura, di trattar le parole come tubetti di colore schiacciati e di attirarle in viluppi fonetici, le trovate allegoriche, la buffoneria sottesa di lugubre, le deformazioni, il mio guardare la vita grottescamente come il calvario d’un clown, il quale si ingegni di continuare a suonare su un logoro violino che va ogni momento in frantumi”.
Data recensione: 21/10/2008
Testata Giornalistica: Liberazione
Autore: Linnio Accorroni