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E ancora sono carte lavorate a volute, cartigli, riccioli, perline, punte di mica “ammiccanti”, frammenti di specchi. L’insieme è abbagliante, vedi i tre ostensori fulgidi come gioielli. E guardando ancor meglio si

Sulle prime un visitatore della mostra “Fantasia in convento-tesori di carta e stucco dal Seicento all’Ottocento”, al Cenacolo di Fuligno fino al 6 gennaio, resta stupefatto e si chiede: cosa mai sto guardando? Ha di fronte un centinaio di antichi oggetti di devozione e suppellettili liturgiche, come quadretti, altarini, ostensori, reliquari, minuziosamente costruiti intorno ad immagini religiose, Cristo, la Madonna, l’Agnus Dei, santi e martiri popolari. Guardando con attenzione più ravvicinata vedrà i disegni, colori, sovrapposizioni scintillanti, trionfi di gusto barocco e rococò. E ancora sono carte lavorate a volute, cartigli, riccioli, perline, punte di mica “ammiccanti”, frammenti di specchi. L’insieme è abbagliante, vedi i tre ostensori fulgidi come gioielli. E guardando ancor meglio si scoprono le reliquie e i minuscoli frammenti di ossa, incorniciati da un tripudio di decorazioni fantasiose. Si scopre dunque che lo spettacoloso décor è tenuto insieme da un impasto organico, una speciale farina, ottenuta triturando finemente le reliquie dei martiri o santi, cui si aggiungeva un legante, per poi versare il tutto, la farina d’ossa, dentro forme-matrici. Dove si costruivano questi oggetti e quando? Gioacchino Belli, poeta dialettale romanesco, nel 1830 alla scoperta delle catacombe di San Sebastiano, ci fece due sonetti: «fanno un riduno de st’ossetti sfranti/ e li pisteno insieme tutti cuanti/ all’uso d’una sarza de piggnoli». Irriverente, ma ci aveva preso. Per fare l’immagine di un Agnus Dei, si usava la cera del cero pasquale dell’anno precedente, impastata con le cenere di ossa bruciate. L’usanza durava dal dopo Concilio di Trento, seconda metà del Cinquecento fino alla metà dell’Ottocento: nel 1842 la gerarchia ecclesiastica proibì quest’usanza. Tanto che gli studiosi in Vaticano non ne hanno trovata traccia. Il Concilio Vaticano II valutò le reliquie prive di valore religioso, quasi oggetti di supertizione. I manufatti erano opera interna a monasteri e conventi di certi ordini, in particolare di suore di clausura. L’usanza era diffusa nel nord Europa, in particolare in Francia e Germania, dove se ne trovano raccolte private e musei, come a Chalon-sur-Saone. Da noi erano destinate per doni e omaggi a principi devoti, si direbbe per uso domestico di lusso, per devozione personale: e di questi passaggi ci sono documenti e lettere negli archivi conventuali. La maggior parte delle opere in mostra sono prestate da collezionisti privati italiani o stranieri. Ma provengono anche da zone a noi vicine: dalla Badia a Passignano, da Castelfiorentino, dal monastero delle Clarisse cappuccine di Montughi, da Tavarnelle Val di Pesa, dalla chiesa di San Frediano a Lucca. Tra la povertà dei materiali usati e la stupefacente elaborazione manuale, esce una storia quasi segreta: ci si rende conto che qui si tratta di una mostra singolare e unica. Quasi la scoperta di un “tesoretto” finora ignorato, come sostengono la soprintendente al Polo museale Cristina Acidini e la direttrice del Cenacolo del Fuligno, Caterina Proto Pisani, oltre le due studiose ed esperte del genere Eva Borsook e Barbara Schleicher, americane di origine residenti in Italia. L’accurato catalogo è edito da Polistampa.
Data recensione: 05/11/2008
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Milly Mostardini