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Poemetto dei bambini è l’opera più recente di Giovanna Fozzer (edita da Polistampa di Firenze, pp. 44, € 6), foce in cui confluiscono acque poetiche, narrative e critiche dell’autrice. Raccoglie il poemetto eponimo, un

Poemetto dei bambini è l’opera più recente di Giovanna Fozzer (edita da Polistampa di Firenze, pp. 44, € 6), foce in cui confluiscono acque poetiche, narrative e critiche dell’autrice. Raccoglie il poemetto eponimo, un racconto, appartenente al genere di narrazione lirica proustiana, Estati e inverno, e un testo esplicativo-autobiografico, Sul poemetto e sul racconto. Il poemetto è composto di trentatré strofe disuguali di metri vari, intervallate da dodici brevi ritornelli di due o al massimo quattro versi ciascuno, in cui prevale la ripetizione con variatio: Tu canti nel cuore/ piccola voce di fanciullo – Tu canti nel cuore/ creatura gioia–serena (rispettivamente primo e secondo ritornello). Quasi ogni strofa corrisponde a un cortometraggio che si snoda come un’orazione di  lode, il cui segno stilistico distintivo è l’enumerazione incontrollata, «forma del linguaggio liturgico», «correlativa all’ebrezza spirituale che travolge il lodante» – secondo la definizione proposta da Giovanni Pozzi ne L’alfabeto delle sante in Scrittrici mistiche italiane – ed elemento di continuità con l’opera precedente.Come già in Repertorio d’infinito, gli occhi sono anche qui l’organo conoscitivo e creativo privilegiato da cui sgorga la poesia del poemetto e del racconto lirico. Gli occhi, che come le “arcate di un ponte” vedono e lasciano vedere pezzi di cielo, di terra, «occhi di elezione – come scrive Maria Zambrano – dato che scoprono e rivelano», in trentatré sequenze, il regno dei bambini, oggetto reale e mentale del guardare: Per lo più bambini si vedono/ per un attimo solo, per via: volti/ d’infanzia, dal contorno addolcito,/ occhi sovente incantati, distratti/ tra il sonno e il vedere–senza–sapere/ il mondo scorrere ignoto. Il guardare è proprio di chi ha elaborato l’esperienza del distacco attraverso lo “spossessamento”, esperienza indispensabile nella mistica speculativa, che traluce nell’opera tutta di Giovanna Fozzer, e che scaturisce dalla morte dell’io psichico (già esperita nella raccolta precedente nelle poesie cosiddette eckhartiane) e dalla nascita del vero io, quello spirituale: Mai ha fine il sogno/ di contemplare, ascoltare da vicino/ senza esserci, senza interferire/ con la vita–vita di creature iniziali;/ o forse,/ essendoci con uno sguardo lieve/ di simpatia, di amore–libertà. Lo sguardo lieve, “senza possesso” o appropriazione, rimanda indirettamente all’insegnamento di Meister Eckhart: «L’uomo distaccato, l’uomo nobile cammina in questo mondo perfettamente in patria nel presente come nell’eterno, ma insieme assolutamente estraneo alle cose, non nel senso di indifferenza o disinteresse, ma nel senso di non avere appropriazione». Frutto maturo di ragione mistica e passione, Poemetto dei bambini, ha le sue radici nelle opere precedenti.  Svuotata la mente dall’ingombro dell’io c’è il ritorno all’infanzia, nel poemetto come nel racconto a seguire «dell’antica felicità infantile a Vigolo Vattàro nelle lunghe vacanze estive», Estati e inverno, «lunghissimo ponte del tempo/ verso l’infanzia» [Un tuffo al cuore, Firenze 1998]. Riferimenti al regno dei bambini si trovano sparse in tutta l’opera di Giovanna Fozzer, già nella prima silloge  Piazza d’Orbetello: Di quel pianto/ (dell’esser nato/ dice il poeta amato)/ consolato t’avrei giorno per giorno. In Senza perché il poeta istituisce un’analogia tra i santi e i bambini: Sono i Santi/ come bambini innocenti. Opera dunque non di rottura ma di continuità, come ha sottolineato Gennaro Mercogliano nella bella introduzione al Poemetto. La continuità si tocca con mano non solo nell’oggetto reale e mentale della contemplazione e della memoria, ma nell’aderenza al reale, nel “conoscere attraverso il soffrire” (Siamo stati roccia d’accoglienza/ d’infinito dolore, orrore sofferto narrato [La forma quieta, Firenze 2001]), che accomuna tutte le raccolte poetiche e narrative dell’autrice e che fa di una poesia  apparentemente narrativa e descrittiva una poesia eminentemente spirituale, non nel senso di “avere fede” ma nel senso di “Essere nell’Essere”. Il regno della visibilità, senza annullare la sua realtà oggettiva si fa ponte del celestiale. Non a caso  “azzurrità” è parola-ponte che ricorre in tutta l’opera poetica di Giovanna Fozzer, e chi più di un bambino, dei santi e dell’artista, capisce che – come anche scrive Anna Maria Ortese in Corpo celeste – «il mondo è un corpo celeste, e tutte le cose, nel mondo e fuori, sono di materia celeste»? Attraverso gli occhi, contemplando a distanza, il cuore-culla  accoglie così in un abbraccio cullante ogni creatura del creato a qualunque regno esso appartenga.
Data recensione: 19/09/2008
Testata Giornalistica: Punto di Vista
Autore: Sandra Di Vito