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Come molti grandi sognatori, la sua vita professionale iniziò con una salutare musata. Cresciuto a pane e libri di avventure, sognando di esplorare le lande più misteriose ed estreme nelle quali l’uomo è accompagnato soltanto

Si intitola “La mia vita” l’ultima opera del cronista e scrittore toscano. Ora racconta un po’ di sé
Come molti grandi sognatori, la sua vita professionale iniziò con una salutare musata. Cresciuto a pane e libri di avventure, sognando di esplorare le lande più misteriose ed estreme nelle quali l’uomo è accompagnato soltanto dalle sue nobili virtù, la professione di giornalista dovette sembrargli il trampolino migliore per tuffarsi nei panni del grande viaggiatore. Ci pensò però il primo redattore che si trovò di fronte a sparargli mentre zompettava fra una nuvoletta e l’altra, intento a rincorrere chissà quale pesce volante della sua fantasia. Prima di fare l’inviato sul lago Titicaca, gli disse con una punta d’ironia, avrebbe prima dovuto imparare a fare il “giro” degli ospedali per raccogliere i referti dei piccoli infortuni quotidiani, come le cadute di bicicletta o sulle bucce di banana. Il demensionamento da esploratore romantico a semplice “copiareferti” non scoraggiò affatto il giovane Giorgio Batini, che all’età di appena vent’anni iniziava così, dai freddi padiglioni di ortopedia, il suo lungo cammino nel mondo del giornalismo. Se il buon giorno si vede dal mattino, nella strana professione del cronista è sicuramente la sera a portare i migliori auspici. E fu così che al suo primo giro di notte le persone invece di scivolare sulle bucce di banana decisero di prendersi a pistolettate, lasciando un cadavere fra i tavoli di un’osteria, quasi un omaggio all’esordio del giovane giornalista. Al brigadiere in servizio a Santa Maria Nuova bastò uno sguardo per capire che lo sbarbatello che gli chiedeva il referto dell’assassinato era un novellino, e quindi si prodigò particolarmente per indicargli come raggiungere l’obitorio dove il cadavere veniva sottoposto all’esame autoptico. «Non si può sbagliare», concluse. Non passarono neppure due minuti che il giovane giornalista era già tornato indietro di corsa, tutto trafelato, e in preda all’agitazione vaneggiava di cadaveri resuscitati. «Magari fosse vero» replicò il brigadiere, prima di accompagnarlo di persona attraverso i meandri dell’ospedale fino a quella che il giovane Batini pensava fosse la stanza mortuaria. Quando riaprì la porta trovò la luce accesa ma al posto di una sfilza di salme vide una camerata di soldati di sanità che sulle proprie brande maledicevano ancora un intruso molesto il quale poco prima, spalancando la porta, aveva fatto entrare una ventata gelida che li aveva svegliati tutti. Giorgio Batini quasi si diverte nel raccontarci la sua prima volta da giornalista, come se quel ragazzo alle prime armi un po’ goffo fosse un’altra persona, un caro amico del quale adesso si può ridere serenamente, perché poi nel proseguo della sua carriera ha dato ampiamente prova della sua abilità, tanto da fare della propria vita un inno al giornalismo. Arrivato alla piena maturità ha voluto dedicare alla sua vita anche un libro per il quale ha scelto il più spontaneo e semplice dei titoli: “La mia vita”, appunto (edito da Polistampa, 318 pagine, 18 euro). Ma non crediate che sia una autobiografia. Giorgio Batini è scrittore e giornalista troppo attratto dal curioso, dal fantastico, dal meraviglioso per non coglierli anche nella propria vita. Ecco dunque che scandaglia il lungo percorso professionale ed esistenziale alla ricerca degli episodi più strani, delle storie più bizzarre e dei personaggi più curiosi che nel tempo ha avuto occasione di conoscere o raccontare. Per il lettore è una manna, un libro pantagruelico nel quale ad ogni portata lo chef ci stupisce con una pietanza insolita, che mai ci saremmo aspettati di gustare in quello che sembrava, almeno dal nome, un tradizionalissimo ristorante fiorentino. Per aumentare il deliquio, dell’ospite che è venuto a trovarlo nelle sue pagine, abolisce – con una felice intuizione o una furba premeditazione – anche l’ordine cronologico. Siamo dunque scaraventati avanti e indietro nel tempo, in balia – così dice lui – della sua memoria o della sua nostalgia che come cavallette saltano da un aneddoto all’altro. Leggendolo si capisce in maniera limpida anche quale sia la profonda natura – ma potremmo dire anche missione – del cronista: quella di vivere per raccontare il proprio tempo, quasi a farne con le parole un enorme album fotografico per donarlo alla comprensione di chi è lontano nello spazio come nel tempo. Difficile indicare fra le tante storie quella più curiosa, interessante o intrigante, giacché poi in questo caleidoscopio ciascun lettore troverà le sue, a seconda del proprio gusto, delle proprie inclinazioni per il tal argomento o per il tal altro. Di sicuro l’autore nel suo ri-novellare non tralascia nessun registro, nessun tema, spostandosi dalle note più personali ed intime fino a quelle di alcuni eventi epocali che hanno segnato il Novecento italiano. Ben rappresentati anche i cosiddetti pezzi di costume, nei quali Batini riesce a restituirci la mentalità, le atmosfere, i personaggi del suo tempo, raccontati sempre con grande garbo stilistico ed un pizzico di ironia toscana, utile a lasciarci con un lieve sorriso che costituisce un po’ la cifra, la traccia, del suo particolare modo di guardare le cose. Qua e là ci sorge il dubbio se del suo conclamato idolo (il “maledetto toscano” per antonomasia) non abbia preso anche il vizio di un’enfasi teatrale. Ma la maestria degli incipit dei suoi racconti, che sembrano scivoli per la lettura, e la scioltezza con cui si scorre nei suoi rigogliosi rigagnoli di parole, a volte semplici e levigate come i sassi di fiume altre invece splendenti e ricercate come la livrea delle trote, ci fanno ben presto soprassedere da ogni sterile approfondimento. Poi oltre che scrittore è stato capocronista, e dunque il Nostro sa meglio di noi come far danzare la sua penna sul crinale fra bellezza e verità.
Data recensione: 05/08/2008
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Jacopo Nesti