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Nonostante Antonio Pizzuto (Palermo 1893 – Roma 1976) abbia fatto carriera nel mondo della Polizia che si conclude nel 1949 con il grado di questore, nell’arco della sua vita ha sempre coltivato la passione per l’arte

Nonostante Antonio Pizzuto (Palermo 1893 – Roma 1976) abbia fatto carriera nel mondo della Polizia che si conclude nel 1949 con il grado di questore, nell’arco della sua vita ha sempre coltivato la passione per l’arte dello scrivere. Dagli ultimi anni del Novecento ai nostri giorni si sta assistendo alla riscoperta delle sue opere che lo rendono uno degli scrittori più originali della letteratura contemporanea.Sul ponte di Avignone è un suo romanzo che le Edizioni Polistampa di Firenze ristampa [sic] due volte, nel 2004 e nel 2008 (pp. 291, Euro 22,00). Scritto nell’arco di cinque anni, dal 1931 al 1936, Pizzuto per la prima volta lo pubblica a sue spese, nel 1938 presso le edizioni Ardita di Roma, con lo pseudonimo Heis, e oltre a non vendersi, passa del tutto inosservato dalla critica; invece suscita attenzione quando nel 1985 appare la prima ristampa nella collana «Scrittori italiani e stranieri» della Mondadori, anche per l’immagine dell’autore ormai ben noto, seguito maggiormente da un pubblico élitario [sic] di lettori e ammirato da illustri critici: Jacobbi, Bo, Baldacci, Segre, Pedullà, ecc.Si tratta di un romanzo che l’autore considera un “grassone zibaldone”, forse perché è fitto di elementi autobiografici, diaristici, confessionali, di esperienze e situazioni personali che si presentano attraverso un ricordo vivo o una memoria capace di dilatarsi su dimensioni oniriche. È composto di quattro “quaderni” (-capitoli) che ad eccezione del primo sono molto lunghi.Si ambienta in due città che si potrebbero trovare in ogni luogo del pianeta, ma facilmente identificabili con i luoghi dell’anima dell’autore: la città natia di Palermo e le sue zone limitrofe, e la città adottiva di Roma, descritte con puntiglioso realismo, specialmente Palermo con i suoi paesaggi multiformi, diurni e stagionali, con palazzi, quartieri, piazze, con giardini da cui esalano piacevoli profumi, con vicoli e viuzze che si aprono, si chiudono, si incrociano, e con spazi labirintici da cui in certe scene l’individuo sembra evadere coltivando il mito fantastico dell’America, come suggerisce anche il finale a sorpresa dove si puntualizza che “il manoscritto italiano” di questo testo è stato “rinvenuto in Columbus Circle, a New York”; le descrizioni minuziose dei luoghi urbani, degli spazi domestici, delle situazioni sociali, insomma dell’universo di Palermo a volte prendono la mano dello scrittore, vi indugia tanto che subentrano i toni dell’artificio. E si sviluppa in un periodo identificabile nel ventennio che va dal 1912 al 1931, come fanno capire anche i precisi riferimenti storici alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo.Il narratore assume anche il ruolo di protagonista. Sebbene nel romanzo sia innominato , qualche critico ci suggerisce che il suo nome è Heis. Vuol essere un narratore-protagonista che in parecchi aspetti si identifica con l’autore, che rappresenta umori, contraddizioni, irrequietezze, tanti sentimenti e pensieri di Pizzuto. Come aveva fatto Il fu Mattia Pascal di Pirandello, racconta in prima persona e scrive le sue avventure esistenziali, mostrando un Pizzuto maestro dell’arte di raccontare “dall’interno”, anche molto abile nel tenere le cose sul piano della sospensione e dell’ambiguità, nell’uso del flashback e delle tecniche cinematografiche o perfino del collage, nel realizzare tagli e spostamenti diegetici, nel dar vita agli andamenti della mise en abyme, nel costruire colpi di scena o azioni di accelerazione-decelerazione, nell’andare avanti ed indietro nelle dimensioni temporali, anche se la storia si sviluppa linearmente.La storia si costruisce sul triangolo d’amore, un luogo comune della letteratura occidentale. Ma certi scrittori contemporanei, inclusi Pirandello e lo stesso Pizzuto, riescono a rinnovarlo con il narratore-protagonista che si ritrova con due famiglie, una legittima e una illegittima, simboleggiando il carattere profondamente (auto-)analitico dell’uomo in crisi, rinchiuso nella trappola delle interrogazioni di varia natura, anche metafisiche. Un carattere tipico delle creature di Pizzuto (ad esempio Signorina Rosina), tanto che gli concedono la possibilità di sperimentare sul piano narratologico, con moduli che si rifanno alla diegesi del nouveau roman e dello stream of unconsciousness di Joyce, con approcci e mezzi che enunciano un forte tentativo di trasgredire e quindi di rinnovare i canoni romanzeschi della tradizione (cfr. anche Signorina Rosina).Lo stile di Sul ponte di Avignone è riflessivo, monologico, discorsivo, si addice molto bene a rappresentare il dramma interiore del Narratore che nutre un amore molto infiammato, anche se molto tormentato, per l’amante Elena da cui ha una figlia, Giovanna (nome tratto da quello del nonno paterno). La relazione decennale con l’amante domina la rappresentazione del romanzo illustrando tanti aspetti di un amore dolce-amaro, una dovizia di contrasti drammatici tra gli amanti causati anche da forti sentimenti di gelosia, e il peggioramento della crisi del Narratore, un io bizzarro, strano, quasi pirandellianamente “fuori di chiave”.Sul ponte di Avignone può essere facilmente classificato un romanzo d’amore teso a esplorare e registrare gli angoli interiori della coscienza, e indaga con una scrittura che fa sentire le tonalità sottili e variegate dell’ironia pizzutiana. In Pizzuto i rapporti di coppia, siano essi tra due coniugi o amanti, sono caratterizzati da sentimenti vendicativi e tradimenti, dalle tensioni, dalle liti, e dagli scontri di varia natura.
Data recensione: 22/03/2009
Testata Giornalistica: America Oggi
Autore: Franco Zangrilli