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Cosa succede quando si arriva alla soglia dei cinquant’anni senza aver mai sperimentato un amore che superi in profondità e pienezza quello abulicamente rivolto verso se stessi? A cosa va incontro chi passa più della metà

Cosa succede quando si arriva alla soglia dei cinquant’anni senza aver mai sperimentato un amore che superi in profondità e pienezza quello abulicamente rivolto verso se stessi? A cosa va incontro chi passa più della metà della propria esistenza a guardarsi in uno, cento o mille specchi, riascoltando all’infinito le proprie parole? Lo scrittore fiorentino Gianni Conti, insegnante di materie letterarie, autore di saggi storici e fondatore della rivista “Interpretazioni” risponde a queste domande con una storia cruda e ritmata, confezionando un personaggio fastidioso e amorale, il professor Tommaso Salutini che vive annebbiato dal proprio ego nell’instancabile auscultazione della propria anima in crisi. Bugiardo, presuntuoso, incline all’autocommiserazione ed egocentrico senza requie, Tommaso scopre che il corpo tonico da atleta lo sta abbandonando e cerca conforto nella relazione con ragazze molto più giovani, perlopiù sue allieve. La vita che ha condotto fin qui non gli ha consegnato nessuna vera e propria àncora, paradossalmente né lo studio, né la letteratura né la scrittura in cui si cimenta riescono a soccorrerlo, ora che il corpo vacilla. Il suo, è vero, era un corpo scultoreo “un corpo che pareva soverchiare l’anima perché impregnava lo spazio”, adesso che la nudità diventa ai suoi occhi “orrenda” il pensiero della morte si fa angoscioso. Perché la paura di invecchiare è anche la paura di morire, col presentimento di lasciarsi dietro soltanto tracce leggerissime. Fino a qui Tommaso ha studiato, letto e amato in modo transitorio, misurando il grado di affezione verso la compagna di turno domandandosi dopo l’amplesso – voglio o no che questa donna si fermi a dormire nel mio letto? Per lui le femmine sono “il canto segreto e nascosto del mondo”, le osserva, le segue nei loro intricati percorsi mentali nel tentativo di capirle più a fondo, gratificarle e anticiparle nei desideri. L’amore è difficile, ma a Tommaso serve l’illusione di una piccola fiammella che brilla nel buio, ultimo soccorso del proprio malcontento: “la vita è una lotta dove neanche l’amore può garantire una quiete completa. Però, quando sei innamorato, in fondo alla tua tristezza c’è sempre uno spiraglio di luce e qualcosa che brilla in fondo al tunnel”. La sua è una famiglia agiata e il padre gli ha facilitato il mestiere di insegnante. È un mestiere che svolge con entusiasmo e coinvolgimento, ma anche qui comprendiamo subito che l’egocentrismo è la molla di tutto: Tommaso cerca la cattedra come fosse un palcoscenico e non gradisce che il ruolo di primo attore gli sia sottratto dal giovane e intenso Leonardo. Il peso della responsabilità che sente non è tanto quello di trasmettere efficacemente le proprie conoscenze bensì quello di ammaliare, conquistare, sedurre a forza di parole ragazzi con “facce d’aquila” che lo scrutano dai banchi senza un filo di pietà. Tommaso ci riesce grazie a un insegnamento “pietrificato, monotematico, anche se tremendamente suggestivo” che consiste nel modulare i toni di voce, controllare la gestualità, riempire bene lo spazio a disposizione, insomma recitare – “La voce bassa e sicura copriva i vuoti della mia preparazione, le riflessioni e i collegamenti erano ispirati e seducevano, ma erano avvolti su se stessi e non proponevano alternative”. Così il metodo didattico Salutini non solo rifugge da aggiornamento professionale, approfondimento, studio e vera documentazione ma crea nei ragazzi sofferenza e disagio perché li schiaccia, li inganna e li rende incapaci di scelte autonome. Un vero pasticcio formativo propinato per anni a scapito degli studenti, tanto per nutrire la voracità del proprio ego. Una pratica perpetrata in un microcosmo scolastico che comunque appare ben poco salutare: la scuola inefficiente, corrotta, piena di lati oscuri si inserisce con la propria instabilità in un mondo che già di per sé vacilla. I genitori non sanno fare di meglio e se non spingono i figli al guadagno e al successo facile restano indifferenti e quasi trasparenti sullo sfondo. Il degrado morale avanza e la mancanza di passioni, di modelli e in generale di amore per le cose del mondo prolifera grazie all’aria malsana che si respira ovunque. Tommaso Salutini non solo respira ma emana negatività. Il professore è fortemente attratto dall’universo adolescenziale, sinonimo di libertà e di possibilità aperte; il suo desiderio è quello di conquistare gli allievi, entrando in sintonia col loro mondo, cosa che può avvenire in maniera imprevedibile e quando i due mondi si incontrano tutto diventa relativo, soprattutto la morale. A un certo punto della propria carriera di insegnante a Tommaso accade di sentirsi attratto dalle ragazzine: guardando Sara per la prima volta sente “lecito” il desiderio sessuale nei suoi confronti e gli sembra di emergere da una zona cieca e buia “come se la morale e la morte fossero la stessa cosa”. La morale-morte viene infatti fatta coincidere con l’immagine della collega coetanea Teresa, portavoce di un’etica cattolica che imprigiona gli impulsi segreti e con essi, la solarità, la vita, il buonumore incarnati dalle giovani allieve. Le ragazzine incantano per la grazia naturale e per la freschezza che si sprigiona da ogni loro movimento. Sono delle moderne sirene. Sara che per prima gli lancia sguardi arditi e gli scrive messaggi è motivo di un’ebbrezza che lascia il professore senza fiato. Lui si pasce di questo stato di grazia, sempre teso all’auscultazione di se stesso, sempre pronto a misurare il termometro delle proprie emozioni in ascesa, ma dopo la mossa audace del biglietto – “Mia dolce Sara, così non mi basta più” – è tormentato dal senso di colpa e cade in una grave “siccità spirituale”. Si dibatte, arranca, è bloccato dallo spettro della moralità. Non riesce a sintonizzarsi con se stesso Dipinge di bianco le pareti, ci disegna sopra un’àncora simbolica che possa trattenerlo nella corrente. Troppo poco e troppo adolescenziale per un cinquantenne. Lui è ancora in cerca di un’identità. E nemmeno è capace di applicare la ricetta paterna che prevede l’accettazione di ogni evento della vita senza rimorso, sulla scia del gioco e dello scherzo, una leggerezza che Tommaso non possiede – “sono un eroe della reticenza. Mi manca il coraggio”. Lo scrupolo morale torna con più forza quando avvierà una storia vera e propria con Alessia, altra sua allieva. Lei lo seduce prestandosi a un gioco, quella che poi verrà definita “un’operazione di gruppo” in cui il professore case con prevedibile arrendevolezza. “È allucinante” – gli dirà successivamente Leonardo – “che un uomo maturo non si fosse accorto che Alessia era un’esca per far scattare la trappola”. Tommaso non è un uomo maturo e non attendeva che questa opportunità che gli regala giorni di estatica armonia, perfezione ed equilibrio: “Ero disposto a perdonare qualsiasi cosa, anche l’atto più torbido, per ritrovare quei momenti”. Alessia non è nient’altro che “l’amabile ombra di una donna” passando attraverso la quale si giunge a una sorta di entusiasmante illuminazione. Forse non è ancora troppo tardi. Forse il corpo è ancora “uno splendido corpo d’atleta”. Forse ogni crisi e ogni paura sono superabili. Il confronto col passato è finito, lo specchio gli dà nuova conferma. “Ero troppo proteso su me stesso per essere sincero. E poi il mio egocentrismo era di un’incoscienza innocente e quindi non condannabile”. Alessia diventa il sogno di tutte le donne, una dipendenza assoluta che elargisce beatitudine. Tuttavia, mai il lettore viene attraversato dal dubbio che quello che Tommaso prova per Alessia sia vero amore. Tommaso non ne è capace. Se è vero che è quasi impossibile non tornare con la mente all’ossessione di Humbert per Lolita, subito veniamo messi in guardia circa l’esistenza di una differenza sostanziale: il personaggio di Nabokov prova un sentimento totale e devastante, una specie di amore alla massima potenza che supera la stessa Lolita perché ciò che Humbert cerca davvero è il fantasma di un grande amore perduto molti anni prima, quand’era un ragazzino in balia dei primi sentimenti. Se Lolita rappresenta il peso sublime del tempo che si ferma, la bellezza fragile di una farfalla che si vorrebbe eterna, l’incanto di un amore vissuto in gioventù, Alessia è invece l’incarnazione di un’energia avvolgente che viene messa immediatamente al servizio di un’illusione personale: ritrovarsi più giovani nel corpo e nello spirito. Di conseguenza, Tommaso non potrebbe mai amare una Alessia invecchiata, incinta di un marito, lontana dall’immagine della ninfetta impudica. Humbert invece si accorge di amare Lolita anche così, si accorge che ciò che davvero desiderava è poter invecchiare al suo fianco, desiderio che non può scindersi dall’amore autentico. D’altronde in tutta la narrazione l’amore viene presentato come concetto e sentimento incredibilmente complicato, che anche nei più giovani sfiora connotati perversi: Leonardo per amore di Sara la coinvolge in un giro di prostituzione, scegliendole persino i clienti. “Perversione” – tuona il professore – “o forse è amore vero” – ribatte l’alunno. Alessia è una creatura priva di morale e di colpa: questo la rende irresistibile. Tutto ciò che vuole è afferrare il mondo così com’è, cogliere l’attimo, lei è un essere inconsapevole, impudente e “impermeabile a ogni riflessione complicata”: capire quello che pensa davvero, tentare una vera conversazione è quasi impossibile: “non si era trattato di una vera conversazione. Avevo parlato solo io, lei era rimasta seduta sul divano a dondolare la testa, seguendo la musica”. Il personaggio regge finché regge il suo mistero. Il suo coinvolgimento in una torbida relazione col padre, il tentato suicidio e la lettera d’amore a Tommaso spiegano troppo di lei. Anche lei è un’anima in cerca di identità; anche lei, come Tommaso – di trent’anni e passa più vecchio – conduce questa ricerca tramite il filtro del corpo. I due alla fine del romanzo finiscono insomma per rassomigliarsi e la relazione è pronta, nonostante lo scandalo, a ripartire da capo. Tommaso è combattuto tra la voglia di lottare contro il “razzismo sessuale” e quella di lasciarsi andare, come spesso gli accade davanti alle difficoltà, a una fuga ilare e liberatoria. Odia i benpensanti che “con una smorfia di disgusto spalmata intorno alle labbra” condannano la sua relazione e insiste con l’affermare che il suo “non era un problema morale”. Tuttavia fugge ai Caraibi, dove nel torpore della spiaggia assolata riesce a guardare le cose da una uova distanza, misurando i pieni e i vuoti della situazione che si andava delineando: “mi stavo convincendo che nonostante tutto la vita non può essere vissuta a fondo, nella sua pienezza. Consente al massimo di sfiorare la superficie, di galleggiare sulla schiuma, non di trovare una verità né tanto meno di ancorarsi alla magia di una spiaggia o di un ambiente”. Il padre lo aiuta a tamponare lo scandalo a suon di compensi monetari, il romanzo che stava scrivendo sfiora la pubblicazione, l’anno scolastico finisce ed è ancora una volta estate. Ritroviamo un Tommaso che ha smesso di sognare isole dei mari del Sud, apparentemente pago della propria condizione di uomo che è riuscito ad accettare se stesso e ciò che lo circonda, che riesce di nuovo a bilanciare gli accadimenti, che finalmente si trova a non avere né fretta né paura. Il disagio che viene dallo scorrere del tempo e dagli irrevocabili mutamenti che questo produce fuori e dentro di noi sembra smorzato, forse addirittura scomparso; il destino costringe il professore a sporcarsi le mani e mettersi in gioco, sia come uomo che come scrittore. Sagge, morigerate riflessioni che accompagnano Tommaso nella sua passeggiata conclusiva sulla spiaggia e poi all’ombrellone dove c’è una donna che lo aspetta. È ancora Alessia e quel ben poco plausibile finale rassicurante che il lettore aveva visto all’orizzonte viene spazzato via dal comportamento e dalle prole dei due – un trito scambio di battute prelude a un accoppiamento animalesco nei pressi di una duna, che lascia entrambi irritati e doloranti dopo “l’atto maledetto”. Così, senza barlume di pentimenti o di rimorsi di coscienza si conclude il viaggio del professore nel mondo privo d’amore. Voltata l’ultima pagina il lettore è sdegnato, arrabbiato, perplesso e immancabilmente colpito. La vicenda dell’amorale e disamorato Salutini non poteva, a ben vedere, avere nessun’altra conclusione.
Data recensione: 08/05/2008
Testata Giornalistica: Erba d’Arno
Autore: Federica Depaolis