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In questa sua ultima opera di totalizzante meditazione poetica – “laboratorio di frammenti” con-segnati, ri-composti e appesi alla maternale rotondità semantica della luna nell’arcana empatia sospensiva di versi scolpiti

In questa sua ultima opera di totalizzante meditazione poetica – “laboratorio di frammenti” con-segnati, ri-composti e appesi alla maternale rotondità semantica della luna nell’arcana empatia sospensiva di versi scolpiti e scheggiati di ritmico, pungido rigore che scivola e rimbalza nella sintonica “armonia del battito” del cuore incastonata e compulsa in ogni attimo “in un continuo ritornello di domande” – Leonori Cecina “sommessamente tra un pensiero e l’altro”, – “tra le mani la frusta,/nel petto la magia della speranza” – ripercorre scandagliando l’abisso della propria intimità identitaria “come un’aliena” “in cerca del suo Graal”: “perla socchiusa” nel “forziere di sogni” dell’anima, dove “parlano piano i ricordi”, proustianamente bisbigliando “nel caldo abbraccio del silenzio” risvegliate tenerezze da sorseggiare, “come elisir per rinnovato respiro” d’innocenza, tra fragranze “di genziana calpestata/sotto la corsa tra zolle e acciottolato” e “rintocchi ovattati” di lontananti campane, in “verginali sentieri boschivi,/prodighi di misteri/oltre le punte dei cipressi antichi”, nel “silenzio amico” della “luna bianca” che, “libellula di volteggi/sovrana” ri-torna a posare il “mistero” delle sue cicliche “erranze” per gemmare “prezioso il cielo della notte”, “lassù dove la vita/a paragone” era ed “è niente”. Allegorica sintonia del divenire di un cosmico itinerario osmoticamente incarnato nelle avvenienze esistenziali agite/subite/evocate, l’A. ri-suscita illuminandola nella egregorica pienezza della intradizione poetica la sua chiaroscurale traversata del personale pianeta dell’esser-ci: fasica e fàtica ri-correnza di lunisolare ombraluce dalla sfuggente nettezza di confini, ripercorsa come e insieme al metamorfico “segno della luna”, che si aggiorna per implodere nascosta nella notte in coatta con-sequenzialità pre-ordinata nel graduato “andirivieni” di un iniziatico itinerario che, “avviluppato nel mistero/ di come, dove e quando/ha avuto inizio e fine”, ri-con-duce ogni volta al “risveglio dal torpore/dell’inerzia dopo la sconfitta”, reiterato per gli innumeri “miliardi di volte” dell’eternità del tempo, ritornante come in “un film a replay” nella “finta eternità” specularmente infusa nel “seme della luna nuova”, in cui zampilla “fugace” l’“attimo giusto” fatto a sua rifratta immagine e somiglianza. E di quel provvisorio risveglio da liberare nel “tempo ingordo” della vicenda vitale, “in eterna ruota” nel “duello costante” fra “attesa e perdita”, metamitica Diana in caccia “con ali di bimbo”, Leonori Cecina insegue e preda, spreme e contorce il “buio fondo” di quell’“angolo egoista” “incustodito” nell’“orto” di ogni perdita per imparare “a dischiudersi al rimorso” (come nella esopica favola della “zucca gialla” rubata all’invernale mensa del contadino per giocarvi “a lume di candela” gli infantili “mostri della notte”) fiammellando in “paesaggi d’anima” e “fantasmi d’immaginazione”, l’“antica fatica di sfuggire alla fame” del possesso rintracciata e convertita nel “limpido chiarore” d’un “campo d’aprile” ove “affondare le mani nella terra” “appesa” ai “biancospini” per r-innovare, “tra mistero e realtà” d’uno “stupore ancora bambino”, la primavera d’una magica saggezza “ogni sempre” in “attesa di spighe”: quelle spighe che, deprivate del jaussiano ‘orizzonte d’attesa’ rigerminante – “complice l’amore” – dall’“umida essenza” balsamica dell’“humus” primordiale, nella schizofrenica odiernità consumata “tra simboli di spreco e /di lussuria” “un inverno precoce/ha mietuto/con la falce sbagliata”. Così, “alta la testa”, “un pugno stretto ai solchi delle pieghe/e l’altro aperto ai raggi della luna”, la poetessa sfida la feroce lusinga del “pazzo intrigo/vita morte” giocandone “d’azzardo” ogni attimo “in agguato/al furto d’un respiro” per entrare, con l’arcana “forza” della sua poesia, dentro la “fioca luce lunare” che numinosamente con-fonde “i confini” d’un “presente strano” – ed estraneo – nello straniante, ma palesante smarrimento in cui “silenzio e tempo,/tempo e silenzio” parlano con le “parole sagge” di quella indefinita Promessa d’ universo vagheggiata ‘motu proprio’ nella perpetua, cosmica immanenza dove un indefinibile Iddio la nasconde “per ulteriore mistero/ accrescere al Suo nome”. Di quel turbinoso mistero, turbinante e immanente “sul balcone del tempo”, la poetessa “abbuia l’inquietudine” d’ombra posata come un “macigno “ di “solitudine” “nell’intima tana del cuore”, confidandola con-segnata attraverso la scalfita concisione dei suoi versi (metaforicamente sfumati nella stessa furtiva, ferita r-esistenza) all’orfica metamorfosi del “lume della luna”. Con la sua disillusa maturità di amaro “folletto” dagli “occhi stanchi/per troppe primavere” “col peso del mondo sulle spalle”, epperò/ eppure “umilmente” aperti alla fanciullina trasparenza dell’intuizione, Leonori Cecina “tra l’ardire e l’abbandono” “allunga le dita” verso i valoriali “recessi” della sua “luna calante” “fino a cogliere il punto di partenza” che ne ri-compone l’“identità in delirio” nella capacità d’intra-vedere e conseguire, obbedire e dire la verità dell’ incoercibile “impulso prioritario” che indugia e indulge “senza parsimonia” a coltivare per sbocciare, “intatto” in “questo umano andirivieni”, quel “germe di sorriso/ d’architravi di storia/e intrecci di calcoli assopito”: salvifico germe che del suo “continuo ritornello di domande/si fa culla” per “toccare le vette della gioia” sorvolando e cancellando, nella noncurante “certezza del non più”, gli acuminati contorni d’ogni “giorno maldestro/di lune antagoniste” in cui, ognuno e tutti “gnomi del cosmo”, “piccini piccini,/in fila come i secondi/dell’orologio grande di cucina,/da mezzogiorno a mezzanotte/e poi daccapo”, “ieri, oggi e domani,/ schiavi del tempo …diamo vita al tempo”. E come “domani, ieri, oggi, francobolli affrancati/con timbro circolare/al lembo ribelle” dell’anima, francobollo/ “farfalla pronta al volo/dischiusa da una larva passeggera”, “senza zavorra” la poetessa vaneggia e veleggia “di luna in luna” rincorrendo nell’affanno della memoria la sua primigenia integrità “nascosta” tra “frammenti scomposti/di giorni addietro/ fuggitivi”, rifuggendo “illusorie ricette d’emergenza/stilate talvolta” nell’ansia spasmodica di sanare l’alea della sua frattale, eppur unica, animica identità. “Nell’eternità” pellegrina, non dell’eternità prigioniera, confidando nella “conferma al vacillante passo” della non sua “facoltà di vivere”, all’invisibile, inestinguibile rete di “indiscusse realtà” che di “zolla” e “sole”, “grano e cibo”, “rose e spine”, “novelle stelle” e “rinate profezie” insemina certezze “sulla punta della luna” in un “bacio sospeso/alla notte che tutto nasconde”, ella dunque si appoggia e con-forma esponendosi, se pure “ignara/ di come e quando”, a ri-posare ri-fiorita nell’“alba improvvisa” di quel “giorno di sole” dove l’oscuro vaticinio d’una “limpida coscienza” per l’“enigma decifrare” s’aprirà oltre il tunnel del trapasso, ri-solto nell’abbandono al perpetuo plenilunio dell’amore: dinamica eternità che, senza bisogno di ardire, solo per amore nell’amore r-accoglie la sorpresa del “promesso universo” disvelato e offerto in dono “come un falò/di mille calendari” ad illuminare “di colpo”, sospesa e profusa “fuori del tempo”, quella ‘paternale’ “notte di stelle” in cui “ogni dove, ogni sempre” risplende ed espande, “in parabole di poesia”, benedetto di stupore fecondo di “calore e vita” il “giro d’ali” “di luna in luna” errante di speranza nella ‘partita di giro’ d’ogni vita.
Data recensione: 01/01/2008
Testata Giornalistica: il Portolano
Autore: Anna Maria Guidi