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Dio sta cambiando indirizzo? Ci eravamo appena abituati al suo ritorno, al prepotente riaffacciarsi sulla scena della religione ed ecco che Arnaldo Nesti si

"Esistono ormai alcune caratteristiche comuni tra il vissuto delle varie fedi contemporanee"
"Tutti i credenti cercano emozione, mistica, etica ecologica, un superamento dell’incertezza"

Arnaldo Nesti ha scritto una mappa delle religioni del mondo. L’abbiamo intervistato


Firenze - Dio sta cambiando indirizzo? Ci eravamo appena abituati al suo ritorno, al prepotente riaffacciarsi sulla scena della religione ed ecco che Arnaldo Nesti si diverte a seminare interrogativi scuotendo pigre certezze. «Non basta più dire il Dio dei cattolici, degli ebrei, degli islamici – afferma – bisogna chiedersi quale Dio è sotteso ai credenti in questione. Non ha senso ragionare semplicemente per aree, limitandosi alla quantità di fedeli etichettati come appartenenti ad una religione, bisogna invece domandarsi qual’è il tipo di religione in cui si riconoscono». Nesti è un veterano della ricerca sociologica religiosa. Dirige la rivista Religioni e Società, coordina la sezione di sociologia della religione nell’ambito dell’Associazione italiana di sociologia, è direttore del Centro internazionale di studi sul religioso contemporaneo. Il suo ultimo libro si intitola Per una mappa delle religioni mondiali (Ed. Polistampa, pagg. 189, euro 12), ma non aspettatevi una bella classificazione che metta ogni cosa nella sua casella. È piuttosto una guida a interrogarsi sui movimenti sotterranei, sugli spostamenti di senso e di bisogni che avvengono nelle e tra le aree religiose. In questo senso le statistiche (Cristiani due miliardi, Islam un miliardo e trecento milioni, Induismo novecento milioni, Buddismo trecentosessanta milioni, Confucianesimo duecentoventicinque milioni, Ebraismo quattordici milioni, Religioni primitive-indigene centocinquanta milioni, forme tradizionali africane novantacinque milioni e via a scendere Sikh, Giainisti, Shintoisti, Bahai e così via) sono unicamente un punto di partenza.

Professor Nesti, sono più le differenze come siamo stati abituati a pensare oppure si stanno creando punti di contatto tra il vissuto delle diverse religioni?
«Ormai si possono rintracciare alcune caratteristiche comuni della sensibilità religiosa contemporanea».

Un Dna sparso nei vari continenti?
«Il senso dell’emozione, ad esempio. L’uomo postmoderno cerca nel religioso una carica in grado di infondere nuova linfa vitale. Oppure una propensione mistica in opposizione alla teologia dogmatica. E ancora, assistiamo al cammino della mistica naturale verso un’etica ecologica. Infine emerge la sottolineatura del valore dell’incertezza. L’io incerto diventa un presupposto per la ricerca di una soglia oltre i limiti».

Un gran rimescolamento?
«E per di più in varie parti del mondo coesistono forme di religiosità premoderne, moderne e postmoderne. Ormai sotto lo stesso nome di una confessione ci sono differenze profondissime di vivere l’esperienza religiosa».

La stagione attuale è segnata dall’irrompere del fondamentalismo. Gli occhi di tutti sono puntati su quello islamico.
«Invece dobbiamo saper cogliere quanto di trans-confessionale c’è nei fenomeni fondamentalisti, che coinvolgono musulmani, cristiani, ebrei, induisti. Non è tanto una questione di differenziazioni teologiche quanto di paradigmi culturali. Essere fondamentalisti o no all’interno delle grandi religioni implica una diversa percezione della natura, della famiglia, del sesso, del denaro. Insomma, ogni religione ha oggi forti differenziazioni interne e i comportamenti fondamentalisti vanno sempre analizzati nel loro contesto socio-culturale.

L’atteggiamento convergente nelle diverse tradizioni sono gli elementi apocalittici e di ritorno alle «pure origini»?
«Il radicalismo islamico vuole liberare le antiche e genuine tradizioni delle prime generazioni di musulmani da tutte le innovazioni successive per tornare al Corano, alla Sunna. Il fondamentalismo protestante americano riattiva un conservatorismo politico permeato di valori etici tradizionali, che enfatizzano la libertà personale e il valore delle comunità volontarie.»

Bush ha vinto le elezioni anche grazie all’apporto della corrente neo-evangelica.
«La religiosità apocalittica di Bush ha radici possenti in America e trasforma ogni guaio terrestre in opportunità di salvezza. Ricordiamoci la vicenda della navicella Columbia. Lo shuttle era stato malcontrollato, l’equipaggio fu condannato a morte dall’incuria della Nasa. Ma l’America veniva invitata a “pregare perché tutti gli astronauti, pur non essendo atterrati, tornassero sani e salvi a casa?”».

Che cosa succede all’interno del cristianesimo, che rimane tuttora la religione più diffusa nel mondo?
«Intanto, al di là dell’appartenenza alle singole confessioni cristiane, conta il modo con cui i singoli soggetti si reinterpretano nel mondo. Il che vale naturalmente anche per le altre religioni».

Lei propone nel libro alcuni casi esemplari: Russia, America Latina, Stati Uniti.
«In Russia il postcomunismo non ha fatto affiorare una forte ripresa religiosa. La pratica rimane intorno al dieci per cento. L’Ortodossia è vissuta maggiormente come coscienza e identità nazionale».

Com’è il Dio del dopo ’89?
«Debole, e tuttavia antico. Il sistema comunista ha lasciato tracce profonde, non ha portato ad una nostalgia di Dio. Chissà, forse vincerà la Coca-Cola!».

Stanno meglio i cattolici? L’America Latina è il continente dove risiede metà del cattolicesimo mondiale.
«In Brasile ed Argentina il cattolicesimo subisce forti perdite a favore dei movimenti pentecostali. Tra il 1991 e il 2000 i cattolici brasiliani sono passati dall’83,8 per cento al 73,8. Nel frattempo gli evangelici sono aumentati dal 9 per cento al 15,4, raddoppiando esattamente in termini di numeri. Erano tredici milioni, sono diventati ventisei. Mi ha colpito vedere in un sobborgo di Bahia ben otto templi cristiani di denominazione diversa. La più diffusa, fra i nuovi movimenti, è la Chiesa Universale del Regno di Dio».

Il motivo di questa attrazione?
«C’è una forte rilevanza del rito. Il rito garantisce felicità e successo terreno. Il rito protegge dalla presenza del demonio, visto a sua volta come causa di tutte le crisi: dalla mancanza di lavoro all’infelicità».

La fioritura dei movimenti neo-evangelici è altrettanto rigogliosa negli Stati Uniti.
«Esattamente. Tra il Novanta e il Duemila i cattolici americani sono cresciuti da quarantasei milioni a cinquanta. Nello stesso tempo la Chiesa Unita di Gesù, neo-evangelica, è balzata da 590.000 aderenti a un milione e trecentosettantamila, cioè più che raddoppiata».

Qual’è la molla di questo proselitismo?
«L’esperienza dei neo-evangelici dà spazio all’emotività, alla spiritualità, alla soggettività. È sorta quella che Tom Wolfe chiama la “generazione dell’io”. In ultima analisi è meno importante l’adesione ad una denominazione che il carisma dei leader».

Nel suo libro c’è una tabella di parole chiave diversamente interpretate da fedeli conservatori e liberali. Proviamo a leggerne alcune, partendo da Dio.
«Padre, Giudice, Creatore per l’ala conservatrice. Redentore, Padre, Liberatore per l’ala liberale».

Satana?
«Vivente entità del male per gli uni, simbolo per gli altri».

Bibbia?
«Libera da errori per gli uni, libri con valore diverso per gli altri».

C’è una conclusione, che si può trarre da questa mappa frastagliata?
«Non è più possibile dire l’Ortodosso, il Cattolico, l’Ebreo, il Musulmano. Lo stesso nome copre realtà assai diverse. Stiamo andando anche al di là del monoteismo culturale. È cambiata la stessa qualità della secolarizzazione. Non si tratta più di una disaffezione nei confronti del fatto religioso, ma di una pluralità di atteggiamenti che corrodono dall’interno le forme religiose tradizionali. Di fatto non viviamo più in un universo, ma in un pluri-verso».
Data recensione: 26/07/2005
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Marco Politi