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Storia di Firenze e storia del socialismo. Due storie che hanno avuto momenti alti d’intreccio, a Palazzo Vecchio e non solo, nel dopoguerra. Due storie che sono divenute passaggi di storia nazionale, superando

Il socialismo fiorentino dalla Liberazione al ’94 nell’analisi dello storico LottiStoria di Firenze e storia del socialismo. Due storie che hanno avuto momenti alti d’intreccio, a Palazzo Vecchio e non solo, nel dopoguerra. Due storie che sono divenute passaggi di storia nazionale, superando i confini della città e della regione. Anzitutto, al momento della Liberazione, nel ’44, col sindaco Gaetano Pieraccini. A Firenze il Comitato di Liberazione fece trovare gli alleati di fronte al fatto compiuto delle cariche cittadine già designate. Era il modo che i toscani usavano per dire che non passavano da un occupante ad un altro. Per dire che a Firenze la democrazia rinasceva senza imposizioni. Gli alleati subirono. Di certo non gradirono il sindaco socialista. Intanto perché era socialista e poteva dare il cattivo esempio altrove. Poi perché il generale Clark aveva ben chiaro che quello che accadeva a Firenze avrebbe avuto un riverbero nazionale. Tentò di imporre un altro sindaco. Ma Pieraccini fu abile nel dire che, se gli alleati non lo volevano, avrebbe rassegnato le dimissioni. Accettarono e fecero bene perché era stato un antifascista di sempre e perché era un grande umanitario. Fu il sindaco della Liberazione.I socialisti tornarono al vertice di Palazzo Vecchio nel febbraio ’65. E anche questa volta fu un passaggio storico, non confinato nelle mura cittadine. Protagonista fu un socialista vicino a Nenni. Firenze era stata laboratorio nazionale del centro sinistra, qualche anno prima, assieme a Milano e Venezia. La Pira ne era stato il protagonista. Già questo aveva suscitato molto scalpore. Ma ora il ruolo d’avanguardia di Firenze andava ben oltre. Lelio Lagorio divenne sindaco col voto comunista, oltre che, naturalmente, socialista. Venne giù il mondo. Beghe locali e vicende politiche nazionali s’incrociarono nella figura di questo avvocato quarantenne lanciato alla ribalta della politica nazionale. Intanto, a Firenze i lapiriani videro nella nomina di Lagorio una usurpazione. Poi, daccapo, quello che accadeva a Firenze poteva influenzare il resto del paese. Era in carica il governo Moro, faticosamente rimesso in piedi dopo la crisi del ’64. Si avvicinava la riunificazione socialista. Il centro sinistra nazionale si voleva presentare come il definitivo baluardo anticomunista. Figurarsi se era possibile accettare una simile convergenza. Lagorio fu costretto a dimettersi e fu confermato sindaco solo perché si ricostituì una debole e precaria maggioranza di centro sinistra, intessuta da Ivo Butini. Poi tornò alla ribalta della grande politica nel ’70. Questa volta era il nuovo ente, la Regione, al centro del dibattito. Il primo consiglio regionale era diviso a metà. Da Roma venivano segnali per la costituzione di una giunta di centro sinistra. La DC aveva varato il famoso “preambolo” che imponeva ai socialisti di allearsi con la DC in periferia. Dopo la scissione socialista del ’69 era il modo che la DC usava per cautelarsi. Fu un braccio di ferro che si concluse con Lagorio presidente, ma questa volta con una giunta socialista e comunista. Di nuovo Firenze, con un socialista, era il fuoco della politica nazionale. Tutte riflessioni che mi è venuto di fare leggendo il libro che qualche amico, per la cura di Luigi Lotti, ha voluto dedicare a Lelio Lagorio: Il socialismo fiorentino. Dalla Liberazione alla crisi dei partiti, (Polistampa). Un libro meritorio perché restituisce alla memoria una lunga e nobile storia che la bufera degli anni ’90 ha ingiustamente messo nel dimenticatoio. E su cui dobbiamo riflettere.
Data recensione: 30/03/2008
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Sandro Rogari