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Per oltre quarant’anni storica segretaria del premio Viareggio, fondatrice e presidente del premio Donna Città di Roma, finissima traduttrice dall’inglese e dal francese Gabriella Sobrino non ha mai dimenticato la passione

Per oltre quarant’anni storica segretaria del premio Viareggio, fondatrice e presidente del premio Donna Città di Roma, finissima traduttrice dall’inglese e dal francese Gabriella Sobrino non ha mai dimenticato la passione per la poesia. Riconoscibili contrassegni si rincorrono in tutte le sue raccolte, dall’esordio nel 1970 con John che aspetti a intonare passando per Gioco di specchi (1974), Flauto and concertina (1977) e Poesie ritrovate (1992), fino a quest’ultima, La corazza nuda che racchiude, sotto un titolo suggerito dall’amico Cesare Garboli, poesie composte nell’arco di vent’anni, dal 1985 al 2005. Primo e più importante di tali contrassegni è il vitalismo che anima queste poesie, il loro tenace radicamento nei sensi – colori, suoni, odori – e nei luoghi. In particolare nei componimenti di La corazza nuda che spesso nascono all’interno di paesaggi realisticamente delineati e insieme interiorizzati (secondo quella geografia del cuore di cui parla nella sua densa introduzione Francesca Romana de’ Angelis) la nota saliente è rappresentata dall’adozione di una prospettiva marginale, obliqua. Come se la figura di Gabriella o del suo interlocutore si stagliasse sempre in posizione defilata: in bilico sul predellino del treno, su ciottoli di periferia, vicino a una balaustra. Una prospettiva che può identificarsi con la ricerca di un’espressività che non vuole rapportarsi a nessun centro precostituito: «racconterò la mia storia/ oltre la linea dei campi arati/ a cui mi sento vincolata» (Un mondo artefatto). Sono forse luoghi maggiormente propizi alle illuminazioni, quelli marginali: i luoghi visitati da lampi di colore, come gli alberi blu sognati da Gauguin in Il trasferimento; luoghi che si prestano al desiderio di oltrepassare i limiti o che incarnano, nella loro sghemba geometria, una geometria del profondo, come è detto dell’intensa Dammi due motivi: «La mia vita un tracciato/ irregolare/ chiuso ai tre lati/ il quarto aperto al temporale». Un posto speciale occupano le liriche abitate dalla presenza di persone a lei care: non solo la figura dell’amato, che porta con sé una trama di motivi dolorosamente ambivalenti, o toni di sottile sensualità, ma anche di poeti e artisti che sente più vicini. Risaltano nel tessuto linguistico luccichii di sguardi e di parole, intuizioni di sentimenti: la definizione regalatele da Pasolini ai piedi della statua di Era Licinia: «mi chiamasti occhi»; quelk cifrato codice di malinconia che si stabilì con Primo Levi; l’impeto fanciullesco con cui, dopo un colloquio fitto di angoscia, Amelia Rosselli reclama un gelato alla fragola e al limone; l’ombrello turchese di Dario Bellezza che come un primaverile nasturzio si apre in via dei Pettinari. C’è tutto il mondo umano e artistico di Gabriella Sobrino in queste poesie; e non è certo un caso che molte di loro si chiudano con un interrogativo. Perché nel segno di una ricorrente domanda è da leggersi la disposizione con cui l’autrice guarda al mondo: una disposizione ad entrare nel vivo di situazioni e persone, a interrogarle con rinnovata capacità di stupirsi.
Data recensione: 01/02/2008
Testata Giornalistica: Leggendaria
Autore: Maria Vittoria Vittori