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Le tappe salienti della storia del Partito socialista nel capoluogo toscano, gli anni della rinascita dopo la seconda guerra mondiale fino alla drammatica fase dello

Un ritratto dell’Italia in lotta
Le tappe salienti della storia del Partito socialista nel capoluogo toscano, gli anni della rinascita dopo la seconda guerra mondiale fino alla drammatica fase dello scioglimento. Una minuziosa e appassionata ricostruzione degli avvenimenti e dei protagonisti che hanno caratterizzato il Psi a Firenze nel primo cinquantennio di storia repubblicana è stata raccolta nel volume “Il socialismo fiorentino dalla Liberazione alla crisi dei partiti 1944-1994” (prefazione di Riccardo Nencini, Edizioni Polistampa, 202 pagine, 16 euro), curato da Luigi Lotti, presidente dell’Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea, con scritti del docente Massimo Nardini e di Donatella Cherubini, professore associato di Storia contemporanea all’Università di Siena e con l’ampia e preziosa testimonianza dell’ex ministro Lelio Lagorio, di cui pubblichiamo le vicende riguardanti i cambiamenti dopo il congresso all’hotel Midas del luglio 1976 e la nuova politica inaugurata da Craxi.Il Midas e la nuova strada. I mutamenti a Firenze. Giovani e donne in prima linea De Martino, passati i primi Anni Settanta, era in declino. Sconfitta la sua politica alle elezioni del ’76 fu sostituito nell’estate di quell’anno (Comitato centrale dell’hotel Midas, luglio 1976) da Craxi alla testa di una coalizione di dirigenti più giovani, una nuova generazione di socialisti impegnata a voltare pagina nella storia socialista, sia sul piano ideologico sia sul piano delle scelte politiche e tattiche. Nel nuovo vertice del PSI furono eletti due esponenti “autonomisti” che avevano mostrato di possedere radici importanti nel partito. Toccò a Rino Formica, forte in Puglia, e a me. In breve tempo, anche il frazionismo scomparve almeno nelle forme fino ad allora conosciute e una nuova fase si aprì nella vita del socialismo. A Firenze, grado a grado, Mariotti si ritirò dal proscenio, i suoi - quasi tutti - si aggregarono alla vincente corrente “autonomista”, tutti - o quasi - divennero ben presto “craxiani”. Nel frattempo - grazie anche al confronto aperto sulle idee e sulle linee politiche fra demartiniani e “autonomisti” (non c’erano solo faide nella vita interna del partito ma anche dibattito sui principi e sulle cose) - era stata allevata e portata avanti una nutrita squadra di giovani di belle speranze, quasi tutti trentenni, desiderosi di farsi valere e di emergere. Dalle lotte studentesche condotte come Numero Uno era approdato nel PSI Andrea Von Berger che abbiamo già ricordato. Dalla vita di sezione era emerso fino alla luce abbagliante della ribalta un giovane avvocato che diventerà uno dei più battaglieri leaders socialisti, Ottaviano Colzi, a lungo segretario del partito. Così accadeva per Paolo Benelli che formatosi a Prato e decollato come vice-sindaco nella sua città d’origine diventerà ben presto un esponente di massima grandezza a Firenze, e più tardi toccherà a Lorando Ferracci, segretario del partito negli ultimi Anni Settanta, a Paolo Bagnoli studioso appassionato del socialismo liberale e vice-segretario regionale, a tanti altri. E finalmente avanzeranno le donne. In un partito di uomini e fortemente maschilista come il PSI, solo la svolta degli Anni Settanta portò le donne in prima fila ma per nessuna di loro furono rose e fiori. Solo anni dopo, dopo molta gavetta, una donna capace, già “qualcuno” nell’Università, arriverà a prendere posto nel governo del Comune, Laura Sturlese, che avrà un incarico di lavoro anche nella Direzione nazionale del PSI e che per un ciuffo di voti (e qualche invidia) non indosserà il laticlavio di senatore nel Mugello. E Beatrice Magnolfi sarà assessore in provincia e Laura Lodigiani consigliere in Regione. La “Pax craxiana” e la trasformazione del Partito L’epoca di Craxi, durata oltre quindici anni, come tutte le cose di questo mondo, anche le cose buone, ebbe luci ed ombre. Quanto ai fatti nazionali - alcuni molto positivi e importanti - non è questa la sede per commentarli. Merita invece spendere qualche parola sugli effetti della leadership di Craxi a livello locale, nella base del partito e quindi anche nelle vicende politiche del socialismo fiorentino. Non fu opera di Craxi ma si consolidò durante il suo primato un fenomeno profilatosi verso la metà degli Anni Sessanta: la modificazione della base del partito. Il partito essenzialmente operaio e contadino della Liberazione e dei primi anni repubblicani aveva gradualmente ceduto il passo ad un partito con una componente significativa di altre classi sociali. Pur conservando la sua natura di partito sostanzialmente popolare e senza prendere le caratteristiche di un partito interclassista, il PSI era cambiato. Era in fondo un cambiamento di cose corrispondente ai mutamenti della società italiana che si modernizzava. Tale cambiamento si fece eloquente nel periodo craxiano. Ora al nuovo PSI approdavano in numero crescente i rappresentanti dei ceti nuovi sorti dagli sviluppi della tecnica, delle nuove professioni e dei nuovi mestieri. Il PSI intendeva tutelare questa Italia modernissima e se ne fece paladino promuovendola come esempio da seguire in un Paese attivo che produce, avanza ed è all’avanguardia in molti campi d’avvenire. Tutto ciò ebbe riflessi anche nella vita e nel costume del partito. Il partito operaio e contadino in una Italia divisa animosamente in classi antagoniste era una falange accerchiata e in permanente guerra contro tutti, rifugio blindato, vera e propria chiesa laica per gli oppressi e la loro missione vendicatrice. Il nuovo partito composto con ceti molteplici che fra loro si avvicinavano era prevalentemente uno strumento pragmatico, organizzato e mobilitato solo per l’attuazione di un programma. Un’arma, dunque, al massimo un’arma, non più una religione. Di conseguenza si affievolì fra le file degli iscritti l’impegno alla faticosa e ingrata milizia politica quotidiana e crebbero, nel clima di un Paese via via più individualista, le aspirazioni personali, l’attesa di veder aumentare, anche attraverso il partito, il proprio ruolo nella società. Niente più una rude e chiusa Sparta, dunque, ma una Atene aperta e condiscendente. Naturalmente, ciò poteva anche favorire le clientele e il clientelismo che in genere danno poco peso al dibattito politico e al confronto delle idee e dei progetti. Questo può spiegare perchè nel volgere di poco tempo un partito dominato per oltre un decennio dalle frazioni organizzate (il partito di Nenni, Lombardi, Mancini, De Martino) si trasformò con Craxi in un partito unanimistico. La base era favorevole al “nuovo corso” politico avviato al Midas ed era appagata dai buoni risultati che venivano conseguiti in tutti i campi. Tale sentimento influenzò anche la dirigenza socialista, nazionale e locale, e determinò una specie di transumanza di capi e sottocapi di corrente nel campo del leader vincente. Un miracolo. Un partito diviso assunse le sembianze di un partito monolitico. Ma Craxi non era un dittatore, era il leader di un sistema federale, la guglia di un impero piramidale composto da tanti strati di differenti potentati locali. L’unanimità era dogma a Roma nella centrale di comando del partito dove la forza magnetizzante del leader era altissima e fuori discussione, grazie ai successi della nuova politica e all’orgoglio che ne derivava per tutti i militanti. In periferia, no; ma qui ormai le differenziazioni non potevano più passare attraverso correnti organizzate, avvenivano solamente dietro questo o quel dirigente emerso più degli altri e capace di aggregare attorno a sé una cordata di solidarietà. Tutti tributari di Roma, naturalmente, salvo rare eccezioni dovute o alla storia pregressa del partito o alla storia personale. In un partito di signori feudali, fedeli all’obbedienza verso l’impero, pochi erano i Pari, ma c’erano. A Firenze e in Toscana, per esempio.
Data recensione: 14/03/2008
Testata Giornalistica: Avanti!
Autore: Valter Lavitola