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Per trentacinque anni ha vissuto di pane e politica, poi ha detto basta: niente più riunioni interminabili, trattative estenuanti, mediazioni faticose con se stessi e con gli altri. Insomma addio, nel bene e nel male, a riti,

L’addio alla politica per raccontare i confini del mondoPer trentacinque anni ha vissuto di pane e politica, poi ha detto basta: niente più riunioni interminabili, trattative estenuanti, mediazioni faticose con se stessi e con gli altri. Insomma addio, nel bene e nel male, a riti, regole e tempi scanditi da un orologio a tratti impazzito. Così Tito Barbini ha mollato gli ormeggi e si è trasformato da politico navigato in viaggiatore solitario, possibilmente a piedi, a volte in treno e più spesso in corriera come gli è capitato per buona parte dei cento giorni che ha impiegato per andare dalla Patagonia all’Alaska. Da quel viaggio, pieno di simboli, di riflessioni e di sofferenze è nato «Le nuvole non chiedono permesso, molto di più di un semplice diario, un libro suggestivo come sono le nuvole.Chi se lo sarebbe immaginato? Un politico, un uomo di potere che decide di diventare ex e invece di puntare ad un consiglio di amministrazione, riscopre se stesso e il mondo percorrendo in lungo e largo da solo e raccontando i suoi viaggi. Come accade di nuovo con «Antartide. Perdersi e ritrovarsi alla fine del mondo». Libri di piccole dimensioni, come prevede la collana dell’editore fiorentino Polistampa, scritti con grande voglia di comunicare emozioni e passioni, riuscendoci.Al centro dei viaggi di Tito Barbini ci sono solo la natura e i suoi silenzi ma anche la riscoperta della memoria dimenticata, le speranze e le delusioni personali, le tracce lasciate dagli uomini. Nell’America Latina come fra i fragili ghiacciai dell’Antartide.E su tutto aleggia, indirettamente, la scelta che ha portato Barbini a cancellare dalla sua agenda di vita la lunga serie di incarichi importanti. Niente più auto blu, telefoni che non smettono mai di suonare, segretarie che cronometrano gli impegni, postulanti e tutto quell’armamentario che accompagna il politico in ascesa, salvo poi abbandonarlo quando il vento gira e la vela del potere si affloscia. Il debutto nella politica che conta risale al 1970. Giovanissimo, a venticinque anni, diventa sindaco della sua città, Cortona. È solo la prima di una serie di tappe che lo porteranno a diventare, presidente della Provincia di Arezzo, segretario federale del Pci, consigliere regionale e infine assessore, sempre con deleghe importanti: sicurezza sociale, urbanistica, agricoltura. Poco prima di terminare l’esperienza in Regione, accarezza l’idea di un ultimo traguardo politico, quello di sindaco di Arezzo. L’obiettivo sembra a portata di mano: l’uomo è popolare, più nella base che fra i vertici di partito, è tenace e sa come muoversi nella sua terra. E invece i vertici lo stoppano e gli preferiscono un’altra candidatura che risulterà poi perdente alle elezioni, ma questa può essere per lui solo una magra consolazione. Racconterà più tardi: «Per me fu un colpo duro, la presi malissimo. Mi sentivo abbandonato, non amato dal mio partito ed ero a disagio, soprattutto con me stesso. Solo dopo ho capito che la mia ansia era autoreferenziale, che le cose importanti sono altre».All’indomani del brusco stop gli amici giurano che Tito si prenderà la rivincita. Invece sorprende tutti, come quando, segretario della federazione aretino, fu artefice di un documento che mettendo in discussione l’ascesa di Alessandro Natta alla guida del Pci bocciava i metodi del centralismo democratico, in base ai quali i leader venivano scelti nella vecchia nomenclatura di partito. Documento che provocò un mezzo sconquasso e segnò, in qualche modo, la fine se non di un’epoca certo di un metodo.Stavolta Barbini non ha fatto sconquassi e ha detto addio alla politica in punta di piedi. Quando è tornato a Cortona per presentare «Le nuvole non chiedono permesso», i vecchi compagni che non hanno mai dimenticato il giovane sindaco amico di Francois Mitterand, lo hanno accolto con affetto misto a stupore. Chi avrebbe mai detto che una delusione può portare un politico esperto e capace a guardarsi dentro e a scoprire attraverso la natura una nuova, impensabile dimensione? Dice Barbini: «Guardarsi dentro può essere più utile del mostrarsi fuori. Credo che a molti politici farebbe bene prendersi una pausa di riflessione di tanto in tanto».
Data recensione: 27/04/2008
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Pierandrea Vanni