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Nel segno della luna, l’ultima raccolta di poesie di Leonora Leonori Cecina, nella elegante veste della collana Sagittaria a cura di Franco Manescalchi, Edizioni Polistampa, riproduce in copertina una pittura dell’autrice: il

Nel segno della luna, l’ultima raccolta di poesie di Leonora Leonori Cecina, nella elegante veste della collana Sagittaria a cura di Franco Manescalchi, Edizioni Polistampa, riproduce in copertina una pittura dell’autrice: il quadrante blu notte di un cielo stellato dove enormi lancette segnano il tempo contrassegnato da fasi lunari.
Il pregevole, un po’ misterioso disegno, in perfetta sintonia con il titolo dell’opera, costituisce, per il lettore, una preziosa indicazione di percorso.
Moltissimi critici si sono interessati a questa autrice e alla sua poesia, definita da Mario Luzi “…amabile ed incisiva, elargizione della natura…” e numerose sono le pubblicazioni, non di rado classificatesi ai primi posti in premi letterari nazionali e internazionali, che hanno preceduto questa silloge.
Leonora, senza cedere alle lusinghe di una società consumistica pronta a condizionare alle sue leggi anche la poesia, ha sempre continuato ad esprimere la sua poetica visione del mondo rimanendo fedele a se stessa e questa pubblicazione ne è la conferma.
Come acutamente nota Franco Manescalchi in quarta di copertina, essa “…ha sentito la necessità di mettersi allo specchio e (lei, che è anche pittrice) di ritrovare le sue connotazioni profonde e decisive nel ‘segno della luna’ che, per tradizione, è sinonimo metamorfico di donna.” Il suo essere donna, tuttavia, non si arresta ad una sfera privata, ma, partendo dalla personale ricerca, aspira a verità più profonde, universali; interpreta e canta una più vasta femminilità, scandagliando il quotidiano disagio e dolore troppo spesso accompagnati alla condizione femminile. Uno tra gli esempi più belli, la lirica Donne: “Sono l’attesa/ senza l’incontro,/ la fugacità dell’attimo/ e l’archivio di storie millenarie./ […] Sono l’abbraccio dei meriggi d’agosto/ quando il sole raggiunge anche l’anima./ Sono la punta indurita dell’iceberg/ che neppure l’ozono frantuma…” (Luna crescente).
Il libro è rigorosamente suddiviso in quattro parti ciascuna delle quali individuata da una fase lunare. All’influenza delle quattro fasi Leonora, irresistibilmente attratta, non può sfuggire, come non possono sfuggire bassa e alta marea o i “germogli stagionali” sulla terra.
In questa selenica atmosfera la sua poesia si snoda fluida o s’impenna improvvisamente, libera da schemi, seguendo un ritmo del tutto personale, svincolato da ossessive, talvolta assurde ricerche linguistiche e ingentilito di tanto in tanto dal tocco di settenari ed endecasillabi. Oscilla tra una Notte (il nero, la parte oscura nascosta in ciascuno di noi) ed un variabile Chiaro di luna che, con ritmi precisi, sconfigge o cede all’oscurità, nel cerchio senza fine della cosmica corsa.
Nella prefazione Stefano Lanuzza ha colto e ampiamente sottolineato questa dualità nella poetica dell’autrice ed osserva: “Senonché, all’insidiosa Lilith, agli incubi e alle tenebre della Luna Nera (“la luna buia”), anche contro chi vorrebbe “accantonarti all’angolo del giorno”, Leonora, sospesa all’“Incanto infantile/ del cuore”, a un mondo popolato di teneri affetti e umili simulacri suscitanti “uno stupore ancora bambino”, oppone, attimo per attimo, la propria personale, amabile Luna Bianca…”
La tenue luce lunare rivela alla poetessa sagome, contorni, apparentemente indistinti e sfuggenti ai suoi opachi occhi umani “Occhi stanchi/ per troppe primavere/ abbassati sull’abbandono inerme/ delle braccia.” (contrapposti agli occhi innocenti dei fanciulli “Eppure i fanciulli hanno occhi/ trasparenti/ e in mano giochi d’intuizione.”), ma sufficiente per indicare una via, per riscoprire la bellezza e la lungimiranza di quegli sguardi bambini. La sua “Luna Bianca” diventa allora capace di oltrepassare i labili confini di magico idolo e mitologico simbolo fino ad assumere un aspetto quasi salvifico, identificandosi in quella fonte di Verità e Conoscenza cui la poetessa aspira.
Anche la Notte, da sempre abituale compagna della poesia di Leonora, ma per le peculiari caratteristiche assurta qui a simbolo negativo, illuminata dal lunare chiarore, perde ogni connotazione oscura e diventa l’incantato sfondo che si offre all’autrice nella sua veste di silenzio, necessaria dimensione quando si è in attesa di risposte. Lo si percepisce bene nella stupenda Dilatami la mente: “Dilatami la mente stanotte/ maliarda luna/ fino a inabissarmi nell’inconscio/ saziarmi di verità/ a stento percepite/ e limpide porgile a questo calvario/ di interrogativi.” (Luna crescente)
Dall’inconscio affiorano spesso dolorose domande esistenziali, ma anche frammenti memoriali, slanci di sentimenti profondi e teneri affetti attinenti al vivere quotidiano. Esistenza ed esperienza si fondono così in quel magma di Luna Bianca segretamente custodito nell’anima della poetessa e che, forse, proprio perché tanto amorevolmente alimentato, riesce a contrastare l’opposta forza finché la strana fusione/opposizione si traduce in versi.
Nella seconda e terza sezione, Luna piena e ancor più in Luna calante, “…la parola/ si fa libero cavaliere al galoppo,/ senza briglie/ senza redini/ fino a togliere ogni dimensione/ di spazio e tempo”.
Malinconia, stupore, dolcezza, eleganza di stile caratterizzano le liriche dell’autrice, come sempre in precedenza, eppure ora il linguaggio, di tanto in tanto, approda a “dimensioni” nuove; pare quasi di sentire questa parola gridare, come volesse essere ascoltata a tutti i costi, prima che il tempo possa concludere il suo percorso.
Le grosse lancette gialle non a caso si stendono sul notturno quadrante stellato graffiando con forza il blu, quasi fossero lunghi artigli, scandendo i ritmi della luna. Il tempo, con il passare degli anni sempre più percepito in tutta la sua fugacità, oltre a segnare le fasi lunari, fa sembrare ancora più struggenti certi frammenti di ricordi e più prezioso “l’attimo concesso”.
Molte sono le poesie che ruotano attorno a questo tema e vi si soffermano con riflessioni ora serene, ora amare o sbigottite: “Basta un sospiro/ un fievole soffio/ per lasciare di noi/ solo foto e ricordi”. (Luna calante)
Eppure i ricordi parlano, riscaldano, restituiscono la voglia di “acrobazie di volo”.
Nell’ultima sezione Luna piena, intensa e carica di misteriosa attesa, Leonora si dispone alla paziente operazione di ri-costruirsi, mettendo insieme tutti questi suoi tasselli (“pezzi” di vita per restare fedeli al suo linguaggio), per ri-scoprire “l’eternità del cuore” e il dolce potere del silenzio: “Al di sopra,/ in silenzio,/ lo sguardo punta/ verso la stella più lontana.” oppure “In disparte/ ad osservare il mondo/ che si contorce in frenesie di vita. // È l’angolo del silenzio/ dove sommessa la parola/ si spoglia del superfluo/ e nella sua nudità / vola alta/ in parabole di poesia”.
Una parola sommessa, ma limpida e chiara mentre invita il lettore a seguirla in un autentico coinvolgimento di condivisione.
Data recensione: 23/01/2008
Testata Giornalistica: NovecentoPoesia
Autore: Annalisa Macchia