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I versi scelti da Dante (Purgatorio, III, 107 - 108) per descrivere il principe svevo Manfredi sembrano adattarsi perfettamente alla presentazione di una fanciulla, Simonetta Cattaneo (1453 - 1476), parimenti degna di entrare

I versi scelti da Dante (Purgatorio, III, 107 - 108) per descrivere il principe svevo Manfredi sembrano adattarsi perfettamente alla presentazione di una fanciulla, Simonetta Cattaneo (1453 - 1476), parimenti degna di entrare a far parte del patrimonio simbolico dell’immaginario collettivo e non solo per l’aspetto esteriore. Muore giovane chi è caro agli dei, sostenevano gli antichi, e il detto risulta quanto mai appropriato nei confronti di lei. Andata sposa, appena sedicenne, ad un nipote di Amerigo Vespucci (sì, proprio colui dal quale prenderà il nome il Continente Nuovo) per garantire un legame tra la sua famiglia, della più alta aristocrazia genovese, e quella dei banchieri fiorentini, intimi dei Medici, morirà di tisi a soli ventitre anni. Ma il suo breve passaggio terreno verrà eternato da poeti ed artisti che, attraverso l’esaltazione della sua bellezza, contribuiranno con parole e con immagini a creare un mito di straordinaria persistenza iconica. Giovanna Lazzi e Paola Ventrone indagano con passione, nell’affascinante volume edito da Polistampa, i motivi che portano alla nascita della florentina Venus (si diceva, fra l’altro, che Simonetta avesse visto la luce in una località della Liguria, il cui nome, Portovenere, ricorderebbe, appunto, la nascita di questa “italica dea”) e li inseriscono in un avvincente excursus, che offre motivi di approfondimento sulla metamorfosi dell’immagine femminile a Firenze nel periodo compreso tra il primo affacciarsi della signoria medicea e quello della sua piena affermazione. Tale itinerario consente di scoprire le connessioni tra la bellezza ideale e l’ideale politico, che inducono a celebrare, di volta in volta, la “donna” nella società mercantile oligarchica, la “dama” nella cerimonialità cavalleresca degli anni Sessanta del Quattrocento, la “ninfa” nell’idealizzazione neoplatonica degli anni Settanta - Ottanta del medesimo secolo. Questo è il momento in cui viene costruito, infatti, il prototipo di bellezza muliebre, a un tempo filosofico e all’antica, destinato a imporsi nella cultura letteraria e figurativa degli anni a venire. L’ascesa di Simonetta entro tale ambito ha inizio il 29 gennaio 1475, quando Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo, la elegge come sans par, dedicandole la vittoria in un torneo - immortalato dai versi del Poliziano nelle Stanze per la giostra - portando in campo uno stendardo, dipinto da Botticelli, che trasfigura le sembianze di lei in quelle di Pallade Atena. I due artisti ora citati, appartenenti al circolo neoplatonico laurenziano, sono da ritenere, pertanto, creatori di un nuovo modello iconico attraverso le loro opere. Ma, mentre il poemetto del primo - rimasto incompiuto a causa della morte violenta di Giuliano durante la congiura antimedicea dei Pazzi nel 1478 - narra del casto innamoramento del principe Iulo per la splendida Ninfa, i dipinti del secondo saranno ossessivamente riempiti dall’immagine di quel volto, che incarna l’Amor da contrapporre alla voluptas. Poco importa, pertanto, che l’esistenza reale di Simonetta sia stata una sorta di meteora, poiché proprio la sua scarna consistenza terrena l’ha resa perfetta a rappresentare un’idea fondante del platonismo: l’intelletto deve avere l’assoluto controllo dei sensi. Quanto potentemente abbiano poi brillato i raggi di questa “dea-idea” lo dimostra l’ampio materiale iconografico raccolto dalle autrici e consegnato ai lettori, che hanno modo di ammirare la fanciulla “ideale” nei ritratti in marmo, su carta, tavola e tela, eseguiti da artisti del calibro di Antonio del Pollaiolo, Domenico del Ghirlandaio, Andrea del Verrocchio, Piero di Cosimo - solo per citarne alcuni - oltre al già nominato Sandro Botticelli. È ancora quest’ultimo ad offrirci una splendida versione ficiniana del mito di Ares ed Afrodite, in un dipinto ove la dea dell’Amore trionfa sulla ferinitas del dio della guerra che, di fronte a tanta grazia, non può che cedere all’abbandono. Ma l’astro di Simonetta non tramonta certo nel XV secolo, anzi si può dire che esso continui a brillare fino ai giorni nostri - e vale davvero la pena di scoprirne i modi anche attraverso il CD che correda il testo - nel recupero di quel modello femminile sapientemente offerto sopra una conchiglia. Come un’Afrodite dall’incarnato di perla e dai lunghi, biondi capelli a fungere da abito, vera icona di un gusto e di una moda, ella è una sorta di star ante litteram, chiamata ad interpretare, sul grande palcoscenico del mondo, un ruolo impossibile per qualsiasi altra donna che abbia a lungo vissuto: quello dell’eterna Bellezza.
Data recensione: 14/03/2008
Testata Giornalistica: Pittura Antica
Autore: Maria Cristina Villa